domenica 30 gennaio 2011

Un santo contro il diavolo



Il servo di Dio Padre Matteo daAgno­ne, al secolo Prospero Lolli, nacque ad Agnone in Molise nel 1563. La sua fanciullezza fu segnata da un grave incidente. Mentre infatti maneggiava per gioco un'arma da fuoco, un colpo gli partì accidentalmente uccidendo un coetaneo. Per sfuggire alla giustizia, i genitori lo nascosero lontano da casa, presso amici. Dotato di viva intelligen­za, il giovane studiò filosofia e medicina presso l'Università di Napoli e, pur es­sendo il suo direttore spirituale un ge­suita, abbracciò l'ideale francescano. Fu accettato presso il convento di Napoli della Concezione e fece il noviziato a Sessa Aurunca, prendendo il nome di Fra Matteo.
Dopo breve permanenza nella pro­vincia religiosa di Napoli, per interessa­mento delle sue sorelle, fu accolto nel convento di Serracapriola (FG). Nel 1592, dopo un soggiorno a Bologna per seguire le lezioni di Pietro Trigoso da Calatayud, famoso teologo bonaventu­rista, fra Matteo fu ordinato sacerdote e divenne un famoso predicatore.
La sua spiritualità era incentrata sul­la passione di Cristo e sull'assunzione in Cielo della Madre di Dio. Fu superiore locale e provinciale, maestro dei novizi, oratore dotto e devoto. Ebbe dal Signo­re il dono della profezia e dei miracoli. Andando a predicare ad Àgnone, si ri­conciliò pubblicamente con la madre del compagno d'infanzia da lui acciden­talmente ucciso, con grande commo­zione di tutti. La popolazione edificò un convento, di cui P Matteo divenne guar­diano, dove rimase fino al 1616.

IL CARISMA DI ESORCISTA

 Il cappuccino conduceva una vita di estrema penitenza. Operava guarigioni con il segno di croce, era dotato del dono di profezia e di discernimento e soprattutto fu potente esorcista. Que­sto carisma si manifestò mentre era an­cora a Bologna per compiere gli studi nei quali eccelleva, ma si riteneva sem­pre il più indegno di tutti. Una donna di Castelbolognese, posseduta da tredici anni dal demonio, fu condotta a Bolo­gna per essere esorcizzata ma, durante l'esorcismo, i demoni per bocca dell'os­sessa iniziarono a gridare: «Fate pure quanto volete che noi non usciremo da qui, giammai, se non viene Fra Matteo d'Agno­ne, l'umiltà del quale sopra ogni altra cosa ci cruccia e ci flagella». Il frate era nella sua cella a studiare e quando vennero a chiamarlo rifiutò di seguirli, pensando a un inganno diabolico. Ma per ordine del superiore fu costretto a recarsi in pre­senza dell'ossessa e subito il demonio esclamò: «Eccolo... che vuole questo Fra Matteo da me? Io non posso più soffrire di vederlo». E fuggì via in quell'istante, la­sciando libera la donna.
Tre mesi prima di morire, Padre Matteo da Agnone fu assegnato al con­vento di Serracapriola,dove morì e dove ancora si trova la sua tomba. Il Processo diocesano sulla fama di santità è iniziato ufficialmente il 19 giugno 1996.

ESORCISTA DAVIVO E DA MORTO

Il carisma di esorcista di Fra Matteo da Agnone è stato riscoperto da Padre Cipriano de Meo (classe 1924), decano degli esorcisti, nonché vice postulatore della causa di canonizzazione di Padre Matteo.
In 56 anni di ministero esorcistico, Padre Cipriano ha sperimentato che al contatto con la tomba di Padre Matteo d'Agnone e con le sue reliquie, le perso­ne disturbate danno in escandescenze, e il demonio si manifesta in loro con violenza. Per bocca degli ossessi, il dia­volo lamenta che l'invocazione di Padre Matteo lo tormenta.
Padre Cipriano ha raccolto in due voluminosi tomi i colloqui col demonio da lui registrati durante gli esorcismi dal 1986 al 2003. La lettura è un forte stimolo alla fede e un importante sup­porto alla causa di canonizzazione di P Matteo.
Ecco alcuni brani del colloquio dell'esorcista con satana, in cui il nemico ammette la santità del Servo di Dio:
Il demonio con rabbia: «Matteo mi è antipatico perché puzza di Cristo! ... È puzza di beatitudine, di santità, ed io non la sopporto... Non voglio sentire parlare di colui che mi potrebbe provocare grossi dan­ni se gli dai man forte. Tu non lo devi far conoscere a nessuno».
Esorcista: «A me la causa di beatifi­cazione di Padre Matteo sta a cuore... ».
Demonio: «Tu non sai cosa ci sta com­binando. Smetti di portare avanti quella causa!».
Esorcista: «Perché parli così?»
Demonio: «Perché quel morto è mol­to pericoloso, più pericoloso di quando era vivo, e lo sarà ancora di più se quella causa andrà avanti e se quel maledetto verrà glo­rificato per colpa tua». di Patrizia Cattaneo

Testimonianze

PADRE MATTEO ESORCIZZA SEMPRE

Una testimonianza, una delle tante, fresca di giornata direi, è la se­guente dalla provincia di Saler­no. Naturalmente taccio il nome dell'esorcista e dell'esorcizzata. È una donna. Prendo dalla rela­zione alcune frasi significative che fanno vedere il tormen­to che soffre l'interessata e la forza degli interventi del P Matteo invocato sia dall'esorci­sta che dalla esorcizzanda.
"Per me è una grande gio­ia dirvi che la presenza spi­rituale di Padre Matteo non mi lascia mai né di giorno, né di notte. Sono sempre sotto la sua protezione; è il mio angelo custode. Quan­do la mattina vado a lavora­re prendo l'immaginetta di P Matteo me la metto in tasca e mi sento protetta perché so per esperienza che il de­monio è terrorizzato da P Matteo.
Ora durante gli esorcismi sto meglio, però se l'esorci­sta invoca l'aiuto di p. Matteo immediatamente il demonio esplode tanto che ci voglio­no quattro persone per man­tenermi. Spesso il demonio, stufo di P Matteo, grida: "Se ne deve andare di qua manda­lo via, se ne deve andare a Ser­racapriola, non ne posso più!"
Qualche volta l'esorcista quasi scherzando ha detto: "Prima o poi ti porterò a Serracapriola da p. Cipriano, quello ti farà ballare".
Il demonio ha risposto: "No, non ci voglio andare da Ciprianuccio, perché lui mi prende e mi sbatte con la te­sta sulla tomba di Matteo, quel pazzo".
Più di una volta l'esorci­sta invocando Padre Matteo ha detto: "Padre Matteo, ora vieni tu ad esorcizzare al mio posto".
Immediatamente la rea­zione è fortissima e le gri­da sono insopportabili. Da un tempo a questa parte, sto vedendo che P Matteo dà al demonio batoste a più non posso.. Io non riesco a descrivere la potenza dei P Matteo.
Quando ho le crisi in ca­sa, mia madre prende l'im­maginetta del P Matteo, me la mette sotto il cuscino e invoca P Matteo. Giuro che "immediatamente" tutto fi­nisce.
Quando il demonio ten­ta di farmi andare fuori stra­da con la macchina, invoco P Matteo e me lo sento al mio fianco e non succede niente.
Vorrei raccontarvi tanti altri aneddoti, ma sarei trop­po lunga.
Padre Matteo per me è un grande santo. Spero che qualche volta possa essere accompagnata a visitare la tomba di Padre Matteo.
Dio benedica il vostro mi­nistero. N. N.

Chi crede in Christo, cre­de l'infinita bontà di Dio, perché è stata infinita humi­liatione di quell'infinita ma­està di Dio il farsi huomo, et però è segno d'infinita bon­tà. Se crediamo in Christo, è necessario che confessiamo somma giustizia in Dio et infinita misericordia: infinita giustitia, perché per punire il peccato, è gionto a tal se­gno che ha condotto a mor­te il proprio suo Figliolo; infinita misericordia, perché ciò pur ha fatto per pietà di noi, non ci essendo huomo, né altra pura creatura che potesse a pieno sodisfare con intiera giustitia per le nostre colpe. (R Matteo da Agnone Fasciculus Myrrae)

PREGHIERA alla Madonna per la glorificazione del Servo di Dio p. MATTEO DA AGNONE, cappuccino
Vergine e Madre nostra Maria, che ti sei sempre mostrata sensibilissima verso i tuoi devoti, Ti preghiamo umil­mente che Tu ci ottenga dalla Santis­sima Trinità, con la tua potente inter­cessione di Figlia, di Madre e di Sposa, la glorificazione del tuo servo p. Mat­teo da Agnone, che con la parola e con gli scritti, dimostrò e promulgò la tua Assunzione in anima e corpo in cielo, e la divina Regalità del tuo Figlio e Signore nostro Gesù Cristo. Confidiamo nel tuo materno aiuto. Tre Ave Maria

Imprinaatur: San Severo, 25 - 3 - 84 + ANGELO CRISCITO Vescovo

Si annette l'indulgenza parziale.

Brevi cenni biografici

P. Matteo da Agnone nacque nel 1563 da pii genitori i quali gli imposero il nome di Prospero. L'educazione, profondamente cristiana ricevuta dai genitori, gli faceva vedere Dio in tutte le cose.
Frequentò l'Università di Napoli nelle facoltà di filosofia e medicina. La bellezza dell'ideale francescano rifulse nella sua mente, ed in questa luce, preferì farsi cappuccino, per poter conoscere meglio le verità della teologia e divenire medico delle anime.
Fece il noviziato a Sessa Aurunca e dopo breve permanenza nella provincia religiosa di Napoli, si affiliò ai Cappuccini di Foggia. Si distinse per l'amore alla Madonna della quale difese l'assunzione in anima e corpo in cielo. Fu superiore locale e provinciale, oratore dotto e devoto. Ebbe dal Signore il dono della profezia e dei miracoli. Con il solo segno di Croce, operò tante guarigioni ad Agnone, a Vasto ed a Serracapriola. Fu potente esorcista.
Molti dolori fisici accompagnarono la sua vita e furono per lui, motivo costante di ringraziamento al Signore.
Tre mesi prima di morire fu assegnato al convento di Serracapriola ed i frati di quel convento lo accolsero con il canto del Te Deum.
Morì santamente il 31 Ottobre 1616. Il 5 maggio 1751 ebbe luogo la prima ricognizione canonica ad opera del vescovo di Larino mons. Scipione De Laurentis ed il 19 ottobre 1978, una seconda ricognizione fatta dal vescovo di San Severo, mons. Angelo Criscito.
Il 26 aprile 1984 lo stesso vescovo di San Severo dava inizio al processo informativo diocesano.
Il 19 giugno 1996, mons. Cesare Bonicelli ne apriva ufficialmente la Causa di Beatificazione e Canonizzazione nella Cattedrale di San Severo.
Il 9 maggio 2002 mons. Michele Seccia, nel Convento dei Cappuccini di Serracapriola; ha presieduto la solenne concelebrazione ed alla cerimonia di chiusura del Processo diocesano.
Il 16 maggio 2002 i faldoni contenenti la documentazione storica del Servo di Dio, sono stati consegnati alla Congregazione dei Santi.
Il 31 Marzo 2006 la stessa Sacra Congre­gazione ha emesso il decreto di validità del Processo Diocesano.
Nel Giugno del 2006 è stato nominato il relatore della causa.
Per immagini, biografia e relazioni di grazie attribuite al suddetto Servo di Dio,
rivolgersi al padre Cipriano de Meo Convento dei Cappuccini - 71016 San Severo (FG) Tel.             0882 241336      
La sua BIOGRAFIA al link: 

Ricordando gli ultimi giorni del servo di Dio p.Matteo da Agnone



A cura del postulatore Padre Cipriano de Meo, dalla rivista: “Il Servo di Dio Padre Matteo da Agnone”
L'albero carico di frutti dolcemen­te declinava. Poteva dare l'addio a tutti i confratelli, ai tanti discepoli, alle folle che lo avevano ascoltato, a tutti i beneficati. Era vicina la sua dipartita e lo sapeva benissimo.
Fu indetto il capitolo intermedio, dal p. Pietro da Lucera, Ministro Provinciale in carica. Allo scopo fu scelta la città di Lucera. A questo capitolo, che fu celebrato dopo Pasqua, partecipò il p. Matteo, come superiore di Agnone, ove ricopriva anche la carica di Letto­re. Dovendosi eleggere i guardiani dei Conventi, si voleva rieleggere il p. Matteo che già aveva finito il triennio. Questi, però, desideran­do vivamente di rimanere senza prelatura, scongiurò i superiori della provincia perché gli conce­dessero tale grazia. Fu contentato.
Nella sistemazione delle fami­glie religiose, egli è assegnato al Convento di s. Elia a Pianisi, ove è superiore il p. Bonaventura da Apricena. A s. Elia non poteva essere semplice suddito, ma era il maestro che insegnava a soffri­re dal suo povero giaciglio, con la stessa chiarezza ed incisività con cui aveva insegnato dalla cattedra.
Si era acuita l'ora delle sue soffe­renze, divenute preghiera. Ne ave­va tante e tutte le sopportava con quella forza di rassegnazione di cui sono ricche le anime generose del suo stampo.
Da tempo si trascinava dietro una forte podagra che gli rendeva sempre più penoso il camminare. I piedi non gli servivano più per muoversi, ma per fargli pensare ad un altro cammino che fra breve avrebbe iniziato.
Il clima di s. Elia a Pianisi non era adatto per il suo male. I dottori non avevano altro rimedio che tentare il cambiamento di aria. Dove? La scelta cadde sul fortu­nato Convento di Serracapriola, che egli, per molti anni aveva ono­rato con la sua presenza, fatta di opere virtuose e sante. I frati di s. Elia a Pianisi si dovettero privare della gioia di averlo tra di loro, per cederlo e definitivamente, al Con­vento di Serracapriola che poteva, in certo senso rivendicare un in­vidiabile diritto, quello di sentire, sino alla fine, quell'insegnamento che ebbe il privilegio di sentire per primo.
L'arco della sua attività in provin­cia, si aprì e si chiuse, per dono della Provvidenza a Serracapriola.
Da S. Elia a Serracapriola - Questo viaggio fu come la salita del suo calvario; lungo, interminabile.
Data la piena impossibilità di an­dare a piedi, i Frati di s. Elia gli pro­curarono un cavallo. I frati che lo accompagnavano strada facendo, si accorsero, che non era possibile arrivare a Serracapriola sul caval­lo. Le gambe penzoloni, infatti, au­mentavano il dolore dei piedi. De­cisero di trovare un carro che non fu difficile trovare per il p. Matteo. Lo adagiarono sul carro, lo copri­rono ben bene, e soffrendo e pregando, ripresero il cammino che non era né breve, né comodo.
La notizia che il p. Matteo era sta­to assegnato a Serracapriola, era già arrivata al p. Bernardino da Castelluccio superiore del detto Convento. I frati della nuova re­sidenza erano impazienti di averlo con loro il più presto possibile. Il p. Matteo era una preziosa colon­na che cadeva tra le loro braccia. Dopo un viaggio così lungo e pe­noso, il piccolo e silenzioso corteo, superata la salita della collina di Serracapriola, qualche chilometro ancora, e sono arrivati alla porta del Convento. Piena oscurità rico­pre la zona. La notte è fonda. Solo qualche raro lumicino aiuta i vian­danti. Si bussò alla porta del Con­vento, ed i Frati, passatisi la voce dell'arrivo del p. Matteo, con pas­so svelto, vanno incontro a colui, che resosi docile strumento nelle mani di Dio, arrivava a loro come una grazia. Tutti lo abbracciarono, gli baciarono le mani, ed egli sorri­se di cuore a tanta tenerezza, che nella sua umiltà, pensava di non meritare.
Lo tolsero dal carro con molta accortezza per non moltiplicargli i dolori, lo presero sulle braccia per portarlo nella cameretta pre­parata per lui. Fatti pochi passi, prima che si arrivasse alla porta battitora, si passò sulla buca della sepoltura dei Frati che era sotto l'atrio antistante la Chiesa. Il p. Matteo, con voce flebile disse le parole del Salmista:"Haec requies mea, in saeculum saeculi, hic habi­tabo quoniam elegi eam". I Frati, quasi dimenticando i dolori della podagra, dello stomaco e del fe­gato, dell'illustre infermo, erano traboccanti di gioia, perché aveva­no tra loro il generoso operatore di miracoli, colui che aveva sapu­to distribuire le insondabili divine ricchezze.
Entrati nel chiostro, quest'incon­trollata gioia, esplode nel Canto del Te Deum intonato dal superio­re p. Bernardino da Castelluccio. Il chiostro, solo per pochi momenti risuona del canto del ringrazia­mento, perché subito intervenne il p. Matteo, che rivolgendosi al su­periore, disse:"Padre mio, ai morti non si canta il Te Deum, ma si dice il De Profundis". Nell'animo dei Frati scese un mal celato senso di tristezza. Dovettero spezzare il canto del Te Deum e seguitare la recita del De Profundis iniziato dallo stesso p. Matteo. Recitando detto salmo, lo accompagnarono nella sua cameretta, lo deposero pian piano sul misero letticciolo. Ai Frati che gli stavano attorno disse: "Con questo medesimo sal­mo, fra non molto uscirò per que­sta porta".
Egli che ebbe la missione di inse­gnare, la esercitò sino alla fine dei suoi giorni: il lettucciolo della sua cameretta, assumeva il ruolo di pulpito e di cattedra. L'ammirevo­le pazienza con cui sopportò le ul­time infermità, insegnò a prende­re dalla mano di Dio i giorni degli applausi e quelli della sofferenza. Con questo insegnamento con­cludeva la sua missione di sacer­dote, di oratore e di professore, in modo degno della sua fede e della sua Regola.
Negli ultimi giorni di ottobre fu preso da fortissima febbre. Fu chiamato ancora una volta il me­dico; la scienza non aveva altro da dire. Rassegnato, ascoltò l'ultima parla del medico che non dava speranza. Egli era già pronto per salpare da quel povero convento di Serracapriola, come da un por­to terreno, per l'eternità.
Pregò ripetutamente i confratelli perché lo tenessero presente nel­le loro preghiere e voleva che gli si parlasse unicamente di Dio.
La notizia della prossima morte del p. Matteo, addolorò moltissi­mo i Frati. Essi avrebbero voluto tener ancora per molti anni colui che fu assiduo nelle veglie, nelle speculationi di studio, e nelle fati­che dello scrivere. Il p. Matteo, se­reno come un giorno di sole, sta in atteggiamento devoto sul suo giaciglio, in attesa che venga l'an­gelo bianco a dirgli che l'udienza eterna è aperta. L'attesa, non è una pausa di lacrime per rimpiangere il passato, ma è piena di misterioso colloquio, fatto con gli occhi e con le labbra con un vecchio Crocifis­so che egli si fece portare vicino al letto. Erano dialoghi tra Maestro e discepolo, fra la terra ed il Cielo. Accanto al Crocifisso volle anche un vasetto di acqua santa con cui aspergeva il letto.
L'intelligenza e la memoria erano limpidissime. Ricordava tutti, ed a tutti, vicini e lontani voleva chie­dere scusa per qualche eventuale mancanza e per dire a tutti una parola di ringraziamento. Questo gesto di fraternità senza confine, gli portava alla memoria le fol­le che lo avevano ascoltato nelle chiese o nelle piazze, i peccatori che gli avevano promesso conver­sione, tutti i moribondi che lo vollero custode e guida del loro ul­timo respiro. In questo vasto giro d'orizzonte, punto centrale era la sua coscienza, con rigoroso esa­me.Tutto era pronto per spiccare il volo.
Chiamò il p. Bernardino da Castel­luccio, superiore del Convento, fece la sua confessione generale, che poneva un sigillo a quella lu­singhiera preparazione alla morte, che fu la sua vita.
L'animo dei confratelli era incon­solabile al pensiero che fra poco avrebbero dovuto fare i funerali a colui, che pur essendo di giovane età, si poteva definire il patriarca della provincia alla quale aveva procurato un multiforme onore.
II convento di Serracapriola stava diventando più silenzioso del so­lito. Gravava il pensiero del pros­simo lutto, che toglieva fiato ed energia a quei Frati tanto solerti.
Le magnifiche ottobrate pugliesi, avevano fatto nutrire qualche spe­ranza... ma fu un miraggio. Il respi­ro dell'infermo si faceva sempre più lento. Non aveva più forza quel corpo che affrontò mille fatiche; aveva bisogno che altri lo aiutas­sero a sollevarsi. Erano mani ma­terne quelle dei Frati, che avevano l'onore di toccare un santo reso pesante dalla triste vendetta del retaggio d'Adamo.
Silenziosamente, quasi in punta di piedi camminavano quei Frati che non volevano disturbare il prezio­so silenzio dell'infermo, con il ru­more dei rozzi sandali o il fruscio delle ruvide tonache.
È l'imbrunire dell'ultimo giorno di ottobre, venerdì. Il delicato tintin­nio di un campanello rompe quel silenzio arcano, due frati con le torce accese, squarciano l'oscu­rità del Convento: è il Viatico del p. Matteo. Il volto dell'illustre in­fermo si abbellì di tutta la gioia di cui abbondava il suo cuore. Veniva Gesù nella sua cameretta la quale diventava la sala dell'ultimo con­vegno terreno tra il Maestro ed il suo messaggero. Questa gioia die­de forza al corpo. Si alza, si pone in ginocchio per ricevere con la mas­sima umiltà il Gesù della vita.
Poi si rimette sul letto. Gli occhi chiusi per la fede; e prega con la mente e con il cuore. Le labbra, devotamente dicono: Gesù, Gesù... Il piccolo corteo si scioglie: non hanno più senso i ceri, né il suono del campanello, saranno sostituiti tra poco da altra luce e da altri suoni.
Fece chiamare intorno a sé tutti i Frati e diede ancora una volta una prova del suo sentito apostolato. Non fece un discorso, ma volle leggere le sue Proteste, allo scopo di giurare fedeltà a Dio sino all'ulti­mo fiato. Scandì quelle parole con coraggio di chi seriamente pro­mette e giura sulla sua promessa. I Frati non seppero nascondere le lacrime, quando furono invitati a sottoscrivere la carta delle sue Proteste.
La firma apposta aveva il valore della testimonianza e volle che quel foglio gli fosse messo al collo, perché non dimenticasse la pro­messa giurata davanti a tanti testi­moni.
L'Unzione degli Infermi, chiesta ripetutamente, diede l'ultima pen­nellata ad un quadro già pronto per essere imitato in terra e fe­steggiato in Cielo.
Una goccia di Olio Santo, unse que­gli occhi meravigliosi, quelle mani benedette e benedicenti, quei pie­di rigonfi di cammino, l'udito che accolse le voci penitenti, l'olfatto che gustò il soave odore di Cri­sto. Recitò tutte le preghiere che recitava il sacerdote che gli ammi­nistrava il sacramento.
Tutto era stato adempito, il pro­gramma puntualmente attuato. Aveva rivestito l'abito nuziale; era pronto per il banchetto.
Egli, devotissimo della Passione di Gesù, devotissimo della Madon­na, chiese al Signore di morire di venerdì o di sabato. Ottenne la grazia. La celeste chiamata venne puntualmente il 31 ottobre 1616, venerdì, a sera inoltrata, Vigilia di tutti i Santi.
Spirò dolcemente, con Gesù nel cuore con somma pace e quiete dicendo: "Madonna delle Grazie portami in Paradiso". Aveva 53 anni e 37 di vita cappuccina.

Preghiera alla Madonna per la glorificazione del servo di Dio p. Matteo da Agnone





Vergine e Madre nostra Maria, che ti sei sempre mostrata sensibilissima verso i tuoi devoti, Ti preghiamo umil­mente che Tu ci ottenga dalla Santis­sima Trinità, con la tua potente inter­cessione di Figlia, di Madre e di Sposa, la glorificazione del tuo servo p. Mat­teo da Agnone, che con la parola e con gli scritti, dimostrò e promulgò la tua Assunzione in anima e corpo in cielo, e la divina Regalità del tuo Figlio e Signore nostro Gesù Cristo. Confidiamo nel tuo materno aiuto. Tre Ave Maria 
Imprimatur:
San Severo, 25 - 3 - 1984 
 ANGELO CRISCITO
Vescovo

Si annette l'indulgenza parziale.

Predica del servo di Dio padre Matteo da Agnone sul mistero Eucaristico



Stando al contesto è una predica tenuta in un Venerdì Santo. In tale occasione egli, da ani­ma innamorata dell'Eucaristia, non poteva trascurare questo argomento. Si rifaceva con la sua spiritualità e dottrina teologica al mistero dell'Ultima Cena, ossia al mistero della Redenzione, nel quale è intervenuta tutta la Santissima Trinità.
Anche per questo motivo, questa predica merita il posto di un editoriale di primo piano, tenendo conto delle argomentazioni profonde che il Servo di Dio fa in una forma molto semplice ed accessibile per l'uditorio.
Non commento, ma esorto alla meditazione dell'intervento trinitario nel grande mistero eucaristico.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spiri­to Santo, come era nel principio, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. Pace e Bene.
Pace e Bene...
È Venerdì Santo. Inizio con una parola che rac­chiude tutto: l'Eucarestia. L'Eucarestia è davvero la Pasqua. È il pane vivo; è il Pane donato a tutto il mondo, a tutto l'universo.
È il mistero di Cristo: è il mistero di quest'uo­mo, morto e risorto.
Tutto questo, carissimi è il mistero della salvezza.
Prima della Pasqua, Dio, sapendo che doveva morire, amò più di qual­siasi altra cosa buona. Poi, guardando il calvario sapeva che lì, lì si sarebbe verificato il grande sacrificio pasqua­le.
Il Padre che sapeva che il proprio Figlio doveva morire, lo ha mandato apposta per questo, per salvare l'uma­nità, l'eternità.
Gesù nell'Ultima Cena, compie un grande mistero, un grande mistero eucaristico. Spezza il pane e il velo del Tempio si squarcia quando lui è sulla Croce. Quindi lui spezza il pane ed il velo del Tempio si squarcia in due. Be­ve il vino, che è il sangue che scende dalla Croce e lava ogni peccato.
Questo Sangue che scende dalla Croce viene a lavare ed a purificare il morto.
Ecco, ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato "Agnus Dei qui tollis peccato mundi, abbi pietà di noi, Mise­rere nobis". Ecco l'Agnello che scende per noi. Dio in quel momento, come padre, unisce il calvario, unisce questo passaggio trasformandolo in Risurre­zione, in Vita Eterna, in salvezza.
Carissimi, fratelli e sorelle amati, la Croce diventa chiave, la chiave che apre il cielo, dove Cristo sale glorifi­cando il mondo, come di­ce S. Agostino, Gesù passa da questo mondo. Ecco il passaggio, il passaggio che viene a trasformarci.
Cristo, Cristo è la gloria del Padre. Ecco il trafit­to, ecco il glorioso, ecco l'Agnello risorto.
Il grande mistero di Cristo è l'incarnazione totale, che si compie to­talmente nel Padre, nel Fi­glio e nello Spirito Santo. Per questo, nell'Eucarestia si vivono tutti i misteri.
Lo Spirito Santo scen­de sugli apostoli, Maria si rende partecipe di questo grande mistero e si rende partecipe anche del Calice Eterno.
Il banchetto... il banchetto nel quale Gesù nel momento dell'Ultima Cena spezza il pane e offre il vino di­venta comunione, la comunione che si diffonde nel mondo intero.
Nella comunione c'è l'Eucarestia, ossia tutto il sacrificio di Cristo. La presenza dell'Eucarestia si vede chia­ramente sulla Croce, dove diventa sacrificio. Come nel momento della Consacrazione noi sacerdoti diciamo: "Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, è il figlio dell'Uomo che soffre per i nostri peccati..."
Ecco il Cristo glorioso, ecco Co­lui che fa Comunione e sacrificio per noi.
Nelle sue prediche, dice Gesù: "Io sono la vite, voi i tralci".
Ecco questa grande linfa vitale che è l'Eucarestia che ancora oggi deve scorrere nei nostri corpi.
Dobbiamo vivere l'Eucarestia... Non dobbiamo soltanto ricordare il passaggio dalla morte alla vita, perché, carissimi, la morte passa.
Cristo non ha voluto la morte, una morte che termina. Ma Cristo ha voluto che l'Eucarestia diventasse il grande dono. La morte termina ma la vita continua con l'Eucarestia.
Noi siamo tanti chicchi che dob­biamo formare un solo pane, e questo formare un solo pane è la Chiesa di Cristo.
Tutti un solo corpo, tutti un solo corpo che diventa la vita eterna. Que­sto è il corpo mistico.
Uno sposo nutre la sposa. L'Eucarestia, la carità, ecco questo grande dono, il dono del Padre, la presenza di Cristo e dello Spirito Santo.
Il sangue sparso per noi è lo Spirito Santo che diventa ancora una volta carità con il fuoco.
Lo Spirito Santo diventa vino, sangue, sangue e Spirito.
Per questo Dio manda il pro­prio Figlio ed il Figlio dice: "Amate­vi, amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi".
Mosè scende dal monte con l'alleanza per il popolo con le tavo­le della Legge, invece Cristo, nuovo Mosè, viene a noi con l'Eucarestia, questo grande dono.
L'Ostia deve continuare sempre ad entrare nei nostri corpi, deve con­tinuare sempre, perché satanaccio, quell'orribile mostro deve essere schiacciato, deve essere combattuto.
L'Eucarestia è la medicina che de­ve alleviare le nostre pene, che deve guarire il nostro corpo. E questa me­dicina è il corpo di Cristo, è il corpo di Cristo. Cristo sposo, Cristo carità;
Cristo che diventa Comunione; Cristo che ancora si fa mistero del Padre.
Dio è amore. Dio manda il proprio Figlio nella carne.
Dio, uomo incarnato nell'Eu­carestia. Cristo non può essere per noi soltanto un segno, ma Cristo è Comunione e Chiesa.
Per questo dobbiamo sem­pre parlare dell'Eucarestia, ma non dobbiamo neanche di­menticare che in questo pe­riodo di quaresima, dobbiamo fare penitenza. Dobbiamo fa­re una buona confessione per metterci nella Grazia di Dio con calma, con serenità sen­za fretta.
Dobbiamo prepararci a questo grande mistero, a que­sto grande corpo sacramentale che è Cristo-Chiesa.
Il Battesimo che Gesù ha ricevu­to, e che ha fatto aprire il tempio del cielo, deve essere per noi un grande bagno, cioè ogni volta deve scendere lo Spirito su di noi per purificarci.
La Quaresima è questa purifica­zione e santificazione.
La penitenza, poi la Comunione con gli altri e poi l'Eucarestia che è ricevere Cristo.
Gli apostoli sono stati grandi an­nunciatori di Cristo. Sono stati pre­senti nell'Istituzione dell'Eucarestia, nella Risurrezione e per l'umanità hanno continuato a divulgare questo grande dono, questa grande venuta.
Per questo voglio ritornare alle prime parole, alla Cena, questo gran­de Cenacolo, la cena del Giovedì Santo.
Deve essere questo un prepararsi al sangue alla Redenzione di Cristo, ed alla nostra Redenzione perché Cristo ormai è nella Gloria di Dio è un cuore aperto, è il cuore più grande, è il cuore che può accogliere tutti.
Il suo cuore è Amore.
Gesù è il Dio Incarnato, sacra­mentato... Gesù si dona all'umani­tà, carissimi... Si dona all'umanità gratuitamente, per volere del Pa­dre "Padre, passi da me questo cali­ce, ma sia fatta la tua volontà e non la mia".
Ancora una volta Gesù Cristo segue la volontà del Padre.
E questo è quello che noi dob­biamo pensare. Dobbiamo pensare a fare la volontà del nostro Padre, del nostro Padre Celeste... L'unico Figlio non se lo è risparmiato.
Pensate, quanto amore prova per noi: dà il suo Figlio per noi. L'Eucarestia, per questo, diventa una grande memoriale vivente. Un triduo pasquale, ricorda ancora una volta, carissimi, il Cenacolo, il Cal­vario, la Risurrezione.
Gesù è l'esistenza stessa del Pa­dre e dello Spirito.
"Ecco, io vengo per fare la tua vo­lontà".
Noi celebriamo la vita di Gesù con la nostra, ma dobbiamo essere specchio di Gesù. Dobbiamo tra­sformare la nostra esistenza, facen­dola guidare da quello Spirito che abbiamo ricevuto da Dio.
O mio Gesù, che sei il roveto ardente, pieno di Spirito Santo... Fa che nell'Eucarestia possiamo trovare il tuo trionfo, il trionfo pa­squale.
Dal costato, esce la Chiesa. Tu Cristo, sei sorgente e Chiesa.
O mio Cristo, il sangue e l'acqua che noi trasformiamo, sia bevanda per la salvezza eterna che non ha mai fine.
Noi sacerdoti umil­mente, ogni giorno celebriamo un grande mistero. E questo, io lo intitolo matrimonio eu­caristico di Cristo: io e Cristo.
Per questo, io ogni volta, a tutti i sacerdoti ed ogni luogo dove vado a predicare dico che prima di tutto, il sacerdote, il prete deve essere uo­mo di Cristo, deve sapere amare il Cristo, e lo deve sapere testimonia­re a tutti, che in lui abita Cristo.
Dobbiamo fare, della Comu­nione, una grande fonte. Ancora questa volta io la chiamo: fonte di missione.
Dobbiamo divulgare questo grande dono, per essere ognuno di noi battezzati, in ognuno di noi sa­cerdoti, missionari..
L'Eucarestia, l'Eucarestia deve essere questo grande passaggio dalla vita su questa terra alla vita eterna.
Il cielo deve essere il nostro proiettarci verso l'incontro con Ge­sù Cristo. È sul Golgota, Gesù sta per morire per noi.
Satana muore, viene schiacciato, viene sconfitto, il peccato viene scon­fitto, il figlio muore su quella croce, e dice: "Eloì, eloì, lama sabachthani? Dio mio, Dio mio, per­ché mi hai abban­donato?"
Il corpo... muo­re... lo spirito non muore, si ferma. La Chiesa si ferma, e per tre giorni lo spirito si ferma, e fa scendere il silenzio, la Trinità.
Ecco Gesù che libera l'uomo con la sua morte, l'uomo dall'Egitto del peccato e della morte, il faraone viene schiacciato, definitivamente... in Gesù, tutto è compiuto, e la nuova ed eterna Alleanza si apre...
Nel giorno della Risurrezione il cielo scende sulla terra e la terra sale in cielo. Così, carissimi fratelli e sorelle, si celebra il Mistero Pasquale.
Da parte di Cristo, il Mistero Pa­squale, diventa trionfo per tutti noi perché ancora oggi carissimi, dobbia­mo ringraziare Dio, che ci ha donato la vita Eterna. La morte sua diventa la sua Risurrezione e la nostra Risurrezione, la sua vita, la nostra vita, la sua gloria, la nostra gloria.
Godiamo, godiamo la sua beata missione in terra, e un giorno la vivre­mo in cielo.
Viviamo sempre con lui, e con lui per sempre.
Carissimi fratelli, oggi, in questo giorno Cristo è terra, terra che la­scia fertile il suo cammino per far germogliare una nuova vita, e questa vita che siamo noi non avrà mai fine. Buona Risurrezione a tutti. Deo gratias. AMEN 
Tratto dalla rivista: “Il Servo di Dio Padre Matteo Da Agnone – anno X nr1 gen-giu 2008”

Padre Matteo e la Croce



Francesco Armenti

Nell'Avvento del 1629 padre Giambat­tista da Guglionesi, mentre predica a San Severo, trascrive per "amore e de­vozione" quanto Fra Matteo d'Agnone predicò sulla "invenzione della Cro­ce". Si tratta di una pagina di "Teolo­gia della Croce" che pur se scritta nel 1600 non ha perso di attualità e pre­gnanza catechetico-spirituale. Indagan­do sulle intenzioni della Trinità che per salvare l'umanità "s'inventa" il Mistero della Croce, padre Matteo scrive: «Pec­ca l'angelo e pecca l'huomo, et questa è pur una della tue invenzioni, che tu vuoi redimere l'huomo e non l'angelo. Non ti mancano e diece e cento e mille e cento mila, e quasi che io dica, infiniti modi di redimere quest'huomo. E questa è pur un'altra invenzione, non inferiore alla pri­ma, che a tal'impresa vuoi impiegare una delle Persone divine, tra le quali, ogn'una può a ciò indifferentemente deputarsi. Et questa è un'altra invenzione, e quale alle precedenti, che non la prima persona del Padre, non la 3a Persona dello Spirito San­to, ma solamente la seconda persona del Verbo, viene a incarnarsi...
La Croce, si potrebbe arditamente dire, è un mistero anche per Dio stes­so. Egli poteva salvare l'umanità, come ben dice fra Matteo, in mille modi. La salvezza, però, riguarda non gli angeli ma la creatura generata dall'amore e solo dall'amore che è Dio. Il peccato aveva allontanato l'uomo da Dio. Dio, per dare la possibilità alla sua creatura di respirare il suo amore, non poteva che agire da Padre. Il Pastore, nella parabola della pecora smarrita torna indietro per cercarla e dopo aver­la ritrovata se la mette sulle spalle. Avrebbe potuto andarci dopo, semmai dopo aver messo al sicuro nell'ovile le novantanove pecore, avrebbe potuto mandarci qualche altro. Invece lascia il resto del gregge nel deserto e torna a cercare la pecorella (cfr Lc 15,3-7). E non si trattava di una pecora grassa come si legge in un vangelo apocrifo ma di quella più debole e, quindi, meno "produttiva". L'ansia del pastore è di quel Dio che prima di essere pastore è Padre che ama singolarmente l'uomo, pur avendo tanti figli ci ama in manie­ra personale e individuale. E' questo amore del Dio che è amore (I Gv, 4ss), fonte dell'amore vero, ad aver dettato la scelta, l' "invenzione" della Croce. La Croce è il coinvolgimento totale di Dio nelle pieghe della storia dell'umanità, è l'Amore che si fa carne, peccato pur di salvarci. La Croce è il paradosso di un amore debole ma eterno ed autentico, è la vittoria di un Dio confitto e scon­fitto, è la "maledizione" di Cristo che è vera benedizione del Padre nel Fi­glio per mezzo dello Spirito Santo. Ai Galati l'Apostolo scrive: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno (Dt 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede» (Gal 6,14ss). E questo modo di amare non poteva che coinvolgere di­rettamente questo Dio che è Padre: «il Verbo si fece carne e venne ad abita­re in mezzo a noi» (Gv 1, 14), il Verbo si incarna a Betlemme in una culla e sul Golgota sulla Croce, monte della Redenzione per la quale il Verbo in­carnato - annota Fra Matteo - «vuole ritrovare una morte et una morte di croce». Padre Matteo sapeva bene che per il cristiano la croce non era e non poteva essere un semplice segno ma una verità teologica, un altare d'amore. Il vescovo sant'Andrea di Creta in un discorso pronunciato nella festa della Esaltazione della santa croce argomen­ta: «Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sa­rebbe stata affissa al legno. Se poi la vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo».
Padre Matteo insiste nella sua predica sul perché la Trinità invia sulla terra il Figlio, il Verbo incarnato: «Et se molti, erano senza dubbio i modi, coi quali poteva Iddio redimere, quest'huomo non di meno, "Ipse", in persona pro­pria, "redimet Israel" e viene a questa impresa, acciò l'istesso che era stato il creatore, fosse anco il Redentore dell'huomo, acciò infinita fosse la so­disfatione, rispetto a quello che sod­disfaceva, siccome infinita era stata la colpa, rispetto all'ogetto ch'era stato offeso». La Croce è una nuova crea­zione in cui il Creatore facendosi re­dentore non solo rimetteva la colpa dell'uomo ma ne trovava anche soddi­sfazione perché l'amore dà vita, libera dalla morte e gode della salvezza, della rinascita dell'altro. Ma la scelta del Fi­glio nella dinamica e nella logica trini­taria è una risposta ad una chiamata d'amore. E' bello e profondo ciò che padre Matteo scrive: «Et se per que­sto effetto incarnar si potea ciascuna delle tre divine persone, et diceva il Padre Eterno "Quem mittam Aut quis ex nobis ibit?" Non di meno, io sento il Figlio che rispose:"Ecce ego, mitte me" (Is 6,8) quasi più chiaramente dir volesse: Non è bene che vada la prima persona del Padre, acciò l'istesso non sia Padre e Figlio: Padre in Cielo et Fi­glio in terra. Né deve andare la terza persona dello Spirito Santo, acciò non siano stimati doi figlioli "in divinis" et io sia Figlio in Cielo et lo Spirito Santo sia figlio in terra. Ma acciò che l'istesso che è figlio in Cielo, sia anco figlio in terra, devo essere mandato io, però "Ecce ego, mitte me"». La Croce è la risposta d'amore del Figlio alla chia­mata, altrettanto d'amore del Padre, è gloria del Padre nel Figlio: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà» (Gv 12,31-32). Gesù stesso sa che la sua morte in Croce è glorificazione anche del Padre perciò chiede: «Glorificami Padre, con quel­la gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Pensan­do a queste parole di Gesù sant'An­drea vede nella croce l'esaltazione di Cristo, il calice delle sue sofferenze "la sintesi completa della sua passione». Tornando al "perché" della Redenzio­ne in Croce, Matteo d'Agnone spiega così la glorificazione del Padre per mezzo del Figlio Crocifisso: «Ma se è vero, o filosofo, che "actiones sunt suppo­sitorum"e se è vero che quando ad un'at­tione ci concorre la causa principale, et l'istromento, l'effetto deve attribuirsi alla causa principale et non all'istromento. Et l'agente principale che operava in Cristo, era la Divinità, et I'humanità era solamen­te instromento congiunto, et il supposto in Cristo era divino et infinito. Dunque tutti i suoi effetti dovevano attribuirsi all'agen­te principale della divinità et al supposto divino, et conseguentemente, ogni suo ot­tione era d'infinito merito»
Contemplando la croce, il Crocifisso, padre Matteo ci illumina con la Scrit­tura santa facendoci meditare anche sulla glorificazione del cristiano e del­l'uomo: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

Breve biografia di P.Matteo da Agnone



P. Matteo da Agnone nacque nel 1563 da pii genitori i quali gli imposero il nome di Prospero. L'educazione, profondamente cristiana ricevuta dai genitori, gli faceva vedere Dio in tutte le cose.
Frequentò l'Università di Napoli nelle facoltà di filosofia e medicina. La bellezza dell'ideale francescano rifulse nella sua mente, ed in questa luce, preferì farsi cappuccino, per poter conoscere meglio le verità della teologia e divenire medico delle anime.
Fece il noviziato a Sessa Aurunca e dopo breve permanenza nella provincia religiosa di Napoli, si affiliò ai Cappuccini di Foggia. Si distinse per l'amore alla Madonna della quale difese l'assunzione in anima e corpo in cielo. Fu superiore locale e provinciale, oratore dotto e devoto. Ebbe dal Signore il dono della profezia e dei miracoli. Con il solo segno di Croce, operò tante guarigioni ad Agnone, a Vasto ed a Serracapriola. Fu potente esorcista.
Molti dolori fisici accompagnarono la sua vita e furono per lui, motivo costante di ringraziamento al Signore.
Tre mesi prima di morire fu assegnato al convento di Serracapriola ed i frati di quel convento lo accolsero con il canto del Te Deum.
Morì santamente il 31 Ottobre 1616. II 5 maggio 1751 ebbe luogo la prima ricognizione canonica ad opera del vescovo di Larino mons. Scipione De Laurentis ed il 19 ottobre 1978, una seconda ricognizione fatta dal vescovo di San Severo, mons. Angelo Criscito.
II 26 aprile 1984 lo stesso vescovo di San Severo dava inizio al processo informativo diocesano.
II 19 giugno 1996, mons. Cesare Bonicelli ne apriva ufficialmente la Causa di Beatificazione e Canonizzazione nella Cattedrale di San Severo.
II 9 maggio 2002 mons. Michele Seccia, nel Convento dei Cappuccini di Serracapriola; ha presieduto la solenne concelebrazione ed alla cerimonia di chiusura del Processo diocesano.
II 16 maggio 2002 i faldoni contenenti la documentazione storica del Servo di Dio, sono stati consegnati alla Congregazione dei Santi.
II 31 Marzo 2006 la stessa Sacra Congre­gazione ha emesso il decreto dì validità del Processo Diocesano.
Nel Giugno del 2006 è stato nominato il relatore della causa.

Per immagini, biografia e relazioni di grazie attribuite al suddetto Servo di Dio,
rivolgersi al padre Cipriano de Meo Convento dei Cappuccini - 71016 San Severo (FG)
Tel.             0882 241336      

NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.