Francesco Armenti
Nell'Avvento del 1629 padre Giambattista da Guglionesi, mentre predica a San Severo, trascrive per "amore e devozione" quanto Fra Matteo d'Agnone predicò sulla "invenzione della Croce". Si tratta di una pagina di "Teologia della Croce" che pur se scritta nel 1600 non ha perso di attualità e pregnanza catechetico-spirituale. Indagando sulle intenzioni della Trinità che per salvare l'umanità "s'inventa" il Mistero della Croce, padre Matteo scrive: «Pecca l'angelo e pecca l'huomo, et questa è pur una della tue invenzioni, che tu vuoi redimere l'huomo e non l'angelo. Non ti mancano e diece e cento e mille e cento mila, e quasi che io dica, infiniti modi di redimere quest'huomo. E questa è pur un'altra invenzione, non inferiore alla prima, che a tal'impresa vuoi impiegare una delle Persone divine, tra le quali, ogn'una può a ciò indifferentemente deputarsi. Et questa è un'altra invenzione, e quale alle precedenti, che non la prima persona del Padre, non la 3a Persona dello Spirito Santo, ma solamente la seconda persona del Verbo, viene a incarnarsi...
La Croce, si potrebbe arditamente dire, è un mistero anche per Dio stesso. Egli poteva salvare l'umanità, come ben dice fra Matteo, in mille modi. La salvezza, però, riguarda non gli angeli ma la creatura generata dall'amore e solo dall'amore che è Dio. Il peccato aveva allontanato l'uomo da Dio. Dio, per dare la possibilità alla sua creatura di respirare il suo amore, non poteva che agire da Padre. Il Pastore, nella parabola della pecora smarrita torna indietro per cercarla e dopo averla ritrovata se la mette sulle spalle. Avrebbe potuto andarci dopo, semmai dopo aver messo al sicuro nell'ovile le novantanove pecore, avrebbe potuto mandarci qualche altro. Invece lascia il resto del gregge nel deserto e torna a cercare la pecorella (cfr Lc 15,3-7). E non si trattava di una pecora grassa come si legge in un vangelo apocrifo ma di quella più debole e, quindi, meno "produttiva". L'ansia del pastore è di quel Dio che prima di essere pastore è Padre che ama singolarmente l'uomo, pur avendo tanti figli ci ama in maniera personale e individuale. E' questo amore del Dio che è amore (I Gv, 4ss), fonte dell'amore vero, ad aver dettato la scelta, l' "invenzione" della Croce. La Croce è il coinvolgimento totale di Dio nelle pieghe della storia dell'umanità, è l'Amore che si fa carne, peccato pur di salvarci. La Croce è il paradosso di un amore debole ma eterno ed autentico, è la vittoria di un Dio confitto e sconfitto, è la "maledizione" di Cristo che è vera benedizione del Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito Santo. Ai Galati l'Apostolo scrive: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno (Dt 21,23), perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede» (Gal 6,14ss). E questo modo di amare non poteva che coinvolgere direttamente questo Dio che è Padre: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), il Verbo si incarna a Betlemme in una culla e sul Golgota sulla Croce, monte della Redenzione per la quale il Verbo incarnato - annota Fra Matteo - «vuole ritrovare una morte et una morte di croce». Padre Matteo sapeva bene che per il cristiano la croce non era e non poteva essere un semplice segno ma una verità teologica, un altare d'amore. Il vescovo sant'Andrea di Creta in un discorso pronunciato nella festa della Esaltazione della santa croce argomenta: «Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo».
Padre Matteo insiste nella sua predica sul perché la Trinità invia sulla terra il Figlio, il Verbo incarnato: «Et se molti, erano senza dubbio i modi, coi quali poteva Iddio redimere, quest'huomo non di meno, "Ipse", in persona propria, "redimet Israel" e viene a questa impresa, acciò l'istesso che era stato il creatore, fosse anco il Redentore dell'huomo, acciò infinita fosse la sodisfatione, rispetto a quello che soddisfaceva, siccome infinita era stata la colpa, rispetto all'ogetto ch'era stato offeso». La Croce è una nuova creazione in cui il Creatore facendosi redentore non solo rimetteva la colpa dell'uomo ma ne trovava anche soddisfazione perché l'amore dà vita, libera dalla morte e gode della salvezza, della rinascita dell'altro. Ma la scelta del Figlio nella dinamica e nella logica trinitaria è una risposta ad una chiamata d'amore. E' bello e profondo ciò che padre Matteo scrive: «Et se per questo effetto incarnar si potea ciascuna delle tre divine persone, et diceva il Padre Eterno "Quem mittam Aut quis ex nobis ibit?" Non di meno, io sento il Figlio che rispose:"Ecce ego, mitte me" (Is 6,8) quasi più chiaramente dir volesse: Non è bene che vada la prima persona del Padre, acciò l'istesso non sia Padre e Figlio: Padre in Cielo et Figlio in terra. Né deve andare la terza persona dello Spirito Santo, acciò non siano stimati doi figlioli "in divinis" et io sia Figlio in Cielo et lo Spirito Santo sia figlio in terra. Ma acciò che l'istesso che è figlio in Cielo, sia anco figlio in terra, devo essere mandato io, però "Ecce ego, mitte me"». La Croce è la risposta d'amore del Figlio alla chiamata, altrettanto d'amore del Padre, è gloria del Padre nel Figlio: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà» (Gv 12,31-32). Gesù stesso sa che la sua morte in Croce è glorificazione anche del Padre perciò chiede: «Glorificami Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Pensando a queste parole di Gesù sant'Andrea vede nella croce l'esaltazione di Cristo, il calice delle sue sofferenze "la sintesi completa della sua passione». Tornando al "perché" della Redenzione in Croce, Matteo d'Agnone spiega così la glorificazione del Padre per mezzo del Figlio Crocifisso: «Ma se è vero, o filosofo, che "actiones sunt suppositorum"e se è vero che quando ad un'attione ci concorre la causa principale, et l'istromento, l'effetto deve attribuirsi alla causa principale et non all'istromento. Et l'agente principale che operava in Cristo, era la Divinità, et I'humanità era solamente instromento congiunto, et il supposto in Cristo era divino et infinito. Dunque tutti i suoi effetti dovevano attribuirsi all'agente principale della divinità et al supposto divino, et conseguentemente, ogni suo ottione era d'infinito merito»
Contemplando la croce, il Crocifisso, padre Matteo ci illumina con la Scrittura santa facendoci meditare anche sulla glorificazione del cristiano e dell'uomo: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
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