martedì 27 novembre 2012

Laura Degan

                         13 dicembre 1987    -   11 settembre 1994


Laura nasce il 13 dicembre 1987, giorno di santa Lucia, nell’ospedale di Padova da Paolo Degan e da Paola Franceschetto. Viene battezzata dal parroco, don Rino, domenica 7 febbraio 1988. È una bambina solare, vivace, felice, che ama giocare, correre, saltare. Ha appena due anni quando il 25 febbraio 1990 i medici le diagnosticano una malattia gravissima e  la famiglia decide di portarla al Santuario di San Leopoldo, qui un religioso apre per la piccola la vetrinetta dove viene custodita il saio del Santo: la mamma ne ha preso un lembo e lo ha appoggiato al viso di Laura;, a questo punto la piccola si è inginocchiata e ha così pregato: «Nonno Poldo, aiutami a guarire!».
Il 27 fenbbraio 1990 Laura entra per la prima volta in sala operatoria nel reparto di chirurgia pediatrica dell’Ospedale di Padova: è molto agitata e per acquietarsi decide di chiedere alla mamma di cantarle l’Ave Maria e si addormenta.

Della situazione  di Laura viene informato nel 1991 Giovanni Paolo II, al quale Laura fa pervenire disegni e offerte per i bambini poveri e dal Vaticano partono messaggi e corone del Rosario.
L’8 gennaio 1993 è sottoposta a trapianto di midollo, mentre l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, la mamma porta Laura alla basilica di Sant’Antonio, dove si trova il Vescovo, monsignor Antonio Mattiazzo che benedice la piccola malata.

Frequenta la scuola materna, il catechismo fino a tre mesi di scuola elementare. Impara a leggere e scrivere e il 16 maggio 1994 compone una poesia dal titolo La primavera è bella. La famiglia riesce ad ottenere dal parroco la possibilità di anticipare la Prima Comunione, che Laura desiderava tanto ricevere.
La sera del 6 luglio 1994, festa di santa Maria Goretti, Laura venne vestita di bianco e di blu, come il giorno della processione del Corpus Domini del 1993, quando aveva sparso petali di rose per le vie del paese. Espresse i desiderio di poter essere presente anche lei il giorno in cui i suoi compagni di prima elementare avrebbero fatto la loro prima Comunione e chiese: «Posso farla anch’ io con la tunichetta bianca?».

Dal 6 luglio Laura prese la Comunione tutti i giorni, finché fu possibile andò con la sua mamma alla Santa Messa della chiesa del Sacro Cuore di Saccolongo e un giorno proprio la mamma, tenendola in braccio, le spiegò tutta la Via Crucis. Quando non le fu più possibile andare in chiesa, perché costretta a letto, un sacerdote, fra i tanti che conosceva la famiglia degan, le portava l’Eucaristia che la piccola attendeva con grande apprensione. Capitava che venisse anche celebrata la Snata Messa nella sua cameretta, che era diventata luogo sacro, dove l’amore divino si incontrava con Lauretta. Don Rino ha lasciato scritto: «Quello che mi sorprendeva sempre in questa bambina di pochi anni non era tanto l’atteggiamento raccolto e consapevole che assumeva nel ricevere  l’Eucaristia, quanto invece il silenzio e la solitudine che voleva attorno a sé: chiedeva di rimanere sola, di non essere disturbata. Certe cose non si percepiscono se non nel silenzio e con gli occhi del cuore. Non per nulla Gesù, in un impeto di commozione, lodò il Padre con le parole: Ti benedico,  o Padre, perché hai rivelato i misteri del Regno di Dio ai piccoli e non ai sapienti!».

Il viso di Laura era ormai sfigurato e stava perdendo la vista. Un giorno, nel giardino degli amici Meggiorin, mentre veniva recitato il Rosario, come tutti i lunedì, per la guarigione della bambina, Laura esclamò ad un tratto: «Guarda un Angioletto! Vedo un Angelo!» e da allora lo vide, fino alla fine, e alla mamma che le chiedeva che cosa si dicevano fra di loro, lei rispose: «Tu parla con il tuo Angelo; io parlo con il mio».
La sera del 1° agosto 1994, verso le 22,30, già in condizioni molto gravi, Lauretta si mise a cantare l’Inno della Madonna di Czestochowa. Una volta venne a farle visita un padre della basilica ci Sant’Antonio, dove Laura era stata più volte pregando sul marmo dove riposa il taumaturgo, portando con sé una reliquia del santo. Ma quale meraviglia quando le venne portato un frammento della Santa Croce di Cristo Gesù.

La sera del 6 agosto, giorno della Trasfigurazione, riceve la Santa Cresima e fra il 9 e 10 dello stesso mese perse la vista, ma non ci fu lamento; quando si avvicinava al fratellino Marco lo accarezzava e gli diceva che era bellissimo, pur non vedendoci. Lauretta chiese alla mamma di assistere ogni mattina alla Santa Messa perché così facendo i suoi mali diminuivano, la nonna era molto preoccupata dell’assenza della mamma, temeva, infatti, le frequenti emorragie a cui la nipotina andava soggetta. Ma la piccola la rassicurava sempre, affermando che mentre la mamma era in chiesa non poteva accaderle nulla di male.
Una notte si mise a piangere angosciata, dicendo di soffrire molto a causa di fasci di luce fortisismi; in realtà la camera era totalmente al buio; ma, appeso, alla parete c’era un immagine di Gesù Misericordioso, dal qual scaturivano grandi fasci di luce. Quelli che colpivano Laura?
La notte, spesso, non riusciva a riposare, allora ascoltava Radio Maria, in particolare i canti rivolti a Maria Vergine e il santo Rosario, ma le piaceva molto anche ascoltare la voce di Padre Pio, registrata su cassette. Oppure parlava con la mamma o la nonna. Si considerava fortunata perché poteva avere sempre accanto a sé la sua mamma e avere le medicine necessarie, non così, diceva, accadeva ai poveri bambini del Ruanda o della Bosnia.

Il viso bellissimo, innocente e puro divenne tutta una piaga e nei momenti di grande sofferenza chiedeva delle gocce di olio santo da mettere nelle orecchie che sentiva chiuse; oppure faceva richiesta che le venisse bagnato il viso con l’acqua benedetta o che si appoggiassero sulle piaghe alcune foglie di edera del pozzo della Madonna del Sacro Cuore di Saccolongo. La casa ospitava continuamente sacerdoti, religiosi e religiose: ognuno di loro ha mantenuto un ricordo immacolato di Lauretta ed è pronto a testimoniare, come molte altre persone che l’hanno conosciuta, la sua santa piccola esistenza. Casa Degan divenne così luogo di preghiera e si potrebbe dire di espiazione per i peccati altrui.
Parlava con Gesù Bambino, la Madonna e il suo Angelo custode fino ad arrivare a domenica 11 settembre 1994. Alle 13,50 la mamma appoggiò alla sua gola un’immagine di padre Pio. Spirò. Lascia testimonianza la nonna: «Insieme al forte dolore per il distacco che regnava nei nostri cuori anche una grande pace. La tua mamma disse al parroco di suonare le campane a festa. Don Rino, dopo un attimo di perplessità, esaudì questo suo – e certamente anche tuo – desiderio».

Autore: 
Cristina Siccardi

Note: 
Per approfondire: Lorenzo Laporta - Mi vestirò da angelo. Laura Degan. Una nonna ci racconta l'incredibile storia di una bambina nella malattia - Ed. Shalom
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domenica 25 novembre 2012

CORONCINA DELL’UNITA’



La Coroncina dell'Unità è costituita da una serie di pre­ghiere recitate sui grani di un normale rosario. Gesù ha detto: "Prometto di dare a questa Coroncina dell'Unità grande potenza sul Mio Sacro Cuore Ferito ogni qualvolta sarà reci­tata con fede e fiducia per la guarigione delle divisioni pre­senti nelle vite dei Miei popoli... ". 

Sui grani grossi prima di ogni decina 
si reciti così:

"Dio Padre Nostro Celeste, attraverso il Tuo Figlio Gesù, nostro Sommo Sacerdote e Vittima, Vero Profeta e Re Sovrano, diffondi la Potenza del Tuo Santo Spirito su di noi e apri i nostri cuori. Nella Tua Grande Misericordia, attraverso la Mediazione Materna della Santa Vergine Maria, nostra Regina, perdona i nostri peccati, guarisci le nostre ferite e rinnova i nostri cuori nella Fede e nella Pace, nell'Amore e nella Gioia del Tuo Regno, affinché possiamo essere una sola cosa in Te".

Sui dieci piccoli grani di ciascuna delle cinque decine, si reciti così:

"Nella Tua Grande Misericordia, perdona i nostri peccati, guarisci le nostre ferite e rinnova i nostri cuori, affinché possiamo essere una sola cosa in Te,

Si concluda la Coroncina con le seguenti preghiere:

"Ascolta, oh Israele! II Signore nostro Dio è Unico Dio!"; "Oh Gesù, Re di Tutte le Nazioni, il Tuo Regno sia riconosciuto sulla terra!; "Maria, Madre nostra e

Mediatrice di Tutta la Grazia prega ed intercedi per noi figli tuoi!"; "San Michele, grande Principe e Custode del Tuo popolo, vieni con i Santi Angeli e con i Santi e proteggici!.

Gesù ha detto: "Sì, in questa devozione a Me quale Gesù Re di Tutte le Nazioni, implorate il Mio Cuore Regale con la preghiera di questa Coroncina dell'Unità che lo Stesso, vostro Sovrano Signore Gesù Cristo, vi ho donato! Pregate e chiedete la pienezza spirituale e la guarigione delle vostre stesse anime, per l'unione della vostra volontà con la Volontà di Dio, per la guarigione delle vostre famiglie, dei vostri amici, nemici, conoscenti, ordini religiosi, comunità, paesi, nazioni, il mondo, e per l'unità nella Mia Chiesa sotto il Santo Padre! Concederò molte guarigioni spirituali, fisi­che, delle emozioni e psicologiche a coloro che reciteranno questa preghiera se ciò sarà di beneficio per la loro salvezza secondo la Mia Santa Volontà! Unità e comunione nello Spirito fu quanto io invocai per tutta l'umanità e per la Mia Chiesa quale Mio ultimo testamento prima che io dessi la vita quale Salvatore di tutta l'umanità! Poiché sono Uno con il Padre Mio e con lo Spirito Santo, la Mia Volontà è che tutta l'umanità sia una in Me, cosicché una Fede, un Gregge ed un Pastore saranno riuniti insieme sotto la Mia Regalità Sovrana quale Signore".

"Io, Gesù, Figlio di Dio Altissimo... prometto di porge­re alle anime che reciteranno la Mia Coroncina dell'Unità lo scettro della Mia Regalità e di concedere loro misericor­dia, perdono e protezione in tempi di severe condizioni atmosferiche e di calamità. Estendo questa promessa non solo a voi, ma anche alle persone per cui pregate. Io pro­teggerò queste anime da ogni forma di male o di pericolo, spirituale o fisico, sia dell'anima, che della mente o del corpo, e le rivestirò con il Mio Stesso mantello di Regale Misericordia ".

La Coroncina dell'Unità può essere pregata anche come Novena, per nove volte successivamente. Si può fare in una sola volta, in ore successive o in giorni successivi. Gesù ha detto: "FateMi una Novena con la Coroncina dell'Unità ed io risponderò con potenza e in modo opportuno alle vostre preghiere secondo la Mia Santissima Volontà Sovrana!".









domenica 18 novembre 2012

LE GRANDI ANIME



Le grandi anime non fanno rumore
ne vogliono apparire
assomigliano al seme che morendo, in silenzio,
se stesso immola
per dare vita a nuova, verde pianta.
Esse sono come il vento,
con invisibili, dita
gli alberi scuote, fino alle radici
spogliandoli, delle foglie morte.
Le riconoscerai accorgendoti, che
ti ringraziano del tuo nulla
donandoti il loro tutto.
Ti lasciano credere di essere fragili
mentre in realtà sono soltanto umili.
Ti spogliano del tuo soffrire
per farne il loro abito più bello.
Sanno parlare ai fiori e sorridere alla pioggia.
Non condannano, senza avere cercato di capire.
Soffrono delle tue pene e sono liete delle tue gioie.
le grandi anime esistono
ma sono nascoste come preziose, radici
sono soltanto fiori che disdegnano la fama.
Non cercarle, perciò nel rumore
sappi che esse, adorano il silenzio
di silenzio, si nutrono, e ne fanno diademi.

Testo di: Marta Alberti






venerdì 2 novembre 2012

♥ PREGHIERE PER LIBERARE ANIME DAL PURGATORIO ♥





TI ADORO O CROCE SANTA

Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Cor­po Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce pe
r me. Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che èil mio Signore. Amen.

Recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 Anime del Purgatorio.

Recitata 50 volte ogni venerdì, ne libera 5.



ORAZIONE

da recitarsi davanti al Crocifisso

Adoro te, Croce preziosa, che con le venerabili membra del mio Signore Gesù Cristo foste ador­nata, e col suo preziosissimo san­gue tinta. Adoro te mio Dio, posto su quella Croce per amor mio.

Pater, Ave, Gloria e Requiem

Con questa Orazione si liberano tre anime dal Purgatorio ogni venerdì che si recita, e 33 al Venerdì Santo.


Il Purgatorio. III-Le pene del Purgatorio


tramite Parrocchia S. Stefano Protomartire - Blog di caorleduomo il 02/11/12


Nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti cito un brano del libro "Il Purgatorio nella Rivelazione dei 
Santi" (Visto: nulla osta alla stampa. Torino 10 marzo 1946 Sac. Luigi Carnino, Rev. Del. Imprimatur. Can. Luigi Coccolo, Vic. Gen.), disponibile in rete a questo indirizzo. In questo capitolo si parla delle pene del Purgatorio; l'intenzione non è quella di spaventare i cristiani, ma, specialmente in questo tempo in cui, secondo un pensiero più protestante che Cattolico, si tende a non parlare più del Purgatorio, di sollecitare la pietà dei fedeli i quali, conoscendo le pene che la Giustizia e la Misericordia di Dio permette per le anime purganti, saranno persuasi in vita a cercare con tutte le forze di evitare il Purgatorio per giungere in Paradiso e a pregare per le anime di tutti i loro cari defunti imprigionate nel Purgatorio dai loro peccati, perché giungano al più presto alla gloria eterna dei Beati.
LE PENE DEL PURGATORIO E IL LORO RIGORE
Pena del danno e pena del senso

Dopo, la divina sentenza, supposto che l'anima sia condannata al Purgatorio, il desiderio di purificazione invade l'anima stessa, che nella pena che le è riservata vede la via che la condurrà più presto in Paradiso. S. Caterina da Genova, nel suo meraviglioso Trattato del Purgatorio, dice che l'anima corre a precipitarsi in Purgatorio, tanto è grande l'orrore che concepisce dei suoi falli dinanzi alla purezza e alla santità di Dio e tanto è impaziente di purificarsi dalle sue sozzure. Ecco le parole della Santa: «Siccome lo spirito mondo e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, essendo stato creato a questo fine; così l'anima in peccato, altro luogo non trova adatto, salvo l'Inferno, avendole ordinato Iddio quel luogo per fine suo: perciò in quell'istante in cui lo spirito è separato dal corpo, l'anima corre verso l'ordinato suo luogo, senz'altra guida che la natura del peccato, quando l'anima parte dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quell'ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in un maggiore inferno; perciò non trovando luogo conveniente, né di meno male per lei, per l'ordinazione di Dio vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.

«Così a proposito del Purgatorio, l'anima separata dal corpo, non trovandosi in quella purezza nella quale fu creata, e vedendo in sè l'impedimento che non le può essere levato se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri e se non trovasse questa ordinazione, atta a levarle quell'impaccio, in quell'istante in lei si genererebbe un vero inferno, vedendo di non potere accostarsi (per l'impedimento) al suo fine, che è Dio, il quale le è tanto a cuore, che in comparazione al Purgatorio è da stimarsi nulla, benché, come si è detto, sia simile all'Inferno (cap- 7)».
Le rivelazioni dei Santi confermano quanto dice S. Caterina da Genova. Leggiamo in S. Geltrude come una religiosa del suo monastero, nota per le sue austere virtù, essendo morta ancor giovane con sentimenti di edificante pietà, si manifestasse alla Santa, mentre questa stava pregando per lei. La defunta fu vista innanzi al trono dell'Altissimo circondata da una brillante aureola e ricoperta di ricche vesti tuttavia sembrava triste in volto e pensierosa, e teneva gli occhi bassi quasi si vergognasse di comparire innanzi a Dio. Sorpresa Geltrude, domandò al divino Sposo delle vergini la causa di quella tristezza e di quel timore, e lo pregò di invitare quella sua sposa presso a lui. Allora Gesù, fatto cenno a quella buona religiosa di avvicinarsi, le sorrideva con amore; ma ella sempre più turbata ed esitante, dopo aver fatto un grande inchino alla Maestà di Dio, si allontanò. Santa Geltrude, più che mai stupita, rivolgendosi direttamente a quell'anima, le disse: - Figlia mia, perché ti allontani, mentre il Salvatore t'invita? Hai sempre desiderato questa suprema felicità durante la vita terrena, ed ora che sei chiamata a goderne, te ne rimani così fredda e impassibile? Non vedi forse che il buon Gesù ti aspetta? - Ma quell'anima rispose - Ah! madre mia, io non sono ancora degna di comparire innanzi all'Agnello immacolato, poiché mi restano ancora alcune macchie da purificare. Per potersi avvicinare al Sole di Giustizia bisogna essere più puri della luce stessa ed io non ho ancora questa perfetta purezza che egli brama di contemplare nei suoi Santi. Anche se le porte del cielo fossero spalancate dinanzi a me e da me sola dipendesse il varcarle, non oserei giammai di farlo prima di essere intieramente purificata dalle più piccole colpe; mi sembrerebbe che il coro delle Vergini, che seguono di continuo l'Agnello divino, mi dovesse scacciare lontano da lui per non esserne degna. - Ma come può esser ciò che mi dici, rispose la Santa, se io ti vedo, o mia figlia, circondata di luce e di gloria? - Quanto voi vedete, rispose quella, non è che la frangia delle vesti sublimi dell'immortalità. Ben altra cosa è il vedere Iddio, il vivere in lui e possederlo per sempre! Per conseguire però questa grazia è necessario che l'anima non abbia in sé la più piccola macchia di colpa.

Così, dopo il giudizio, si inizia la purificazione, hanno inizio le pene. E quali pene! Vicino alla bara di un nostro caro, che le sofferenze hanno consumato, ci confortiamo ordinariamente dicendo: - Almeno ha finito di patire!... - Oh! finissero veramente, col finire della vita presente, le nostre pene! Il corpo cessa di soffrire, ma le sofferenze dell'anima possono continuare, possono accrescersi, e continuano e crescono generalmente.
Infatti secondo quello che insegnano i Dottori, i patimenti del Purgatorio non solo son riservati a quasi tutte le creature umane, ma per la loro intensità neppure sono da paragonarsi ai patimenti della vita presente. Secondo S. Tommaso, il quale del resto non fa che riferire l'unanime insegnamento dei Padri, le pene del Purgatorio in nulla differiscono dalle pene dell'Inferno, eccetto che nella durata. Altrettanto asseriscono i mistici. Ecco quel che leggiamo in S. Caterina da Genova:
«Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, né alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, a meno che Iddio non lo facesse conoscere per grazia speciale (Tratt. del Purg., cap. 2). V'è nel Purgatorio, come nell'Inferno, doppia pena, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande, ed è tanto più intensa in quantoché quelle anime vivendo nell'amicizia di Dio, sentono più forte il bisogno di unirsi a lui» (Id.).

La Chiesa non si è mai pronunziata sulla natura della pena del senso. Nel Concilio di Firenze fu lungamente dibattuta anche questa questione fra i Greci e i Latini, ma per non porre ostacolo alla desiderata unione delle due Chiese, nulla venne deciso. Però siccome tutti i teologi insegnano che questa pena è quella del fuoco, come pei dannati, sarebbe temerità allontanarsi da tale opinione. Secondo S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Tommaso, questo fuoco è sostanzialmente uguale a quello dell'Inferno: la differenza consiste solo nella durata.
Agli insegnamenti dei Padri e dei Teologi, fanno eco gli insegnamenti dei Mistici e le rivelazioni dei Santi. Nella storia del Padre Stanislao Choscoa, domenicano, leggiamo il fatto seguente (Brovius, Hist.Hist, de, Pologne, année 1590).

Un giorno, mentre questo santo religioso pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, alla quale avendo egli domandato se quel fuoco fosse più penetrante di quello della terra: - Ahimè!, rispose gridando la misera, tutto il fuoco della terra paragonato a quello del Purgatorio è come un soffio d'aria freschissima. - E come ciò è possibile? soggiunse il religioso. Bramerei farne la prova a condizione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire in Purgatorio. - Nessun mortale, replicò allora quell'anima, potrebbe sopportare la minima parte di quel fuoco senza morirne all'istante tuttavia se tu, vuoi convincertene, stendi la mano. - Il padre, senza sgomentarsi, porse la mano, sulla quale il defunto avendo fatto cadere una goccia del suo sudore, o almeno di un liquido che sembrava tale, ecco all'improvviso il religioso emettere grida acutissime e cadere in terra tramortito, tanto era grande lo spasimo che provava. Accorsero i suoi confratelli, i quali prodigarono al poveretto tutte le cure, finché non ottennero che ritornasse in sé. Allora egli pieno di terrore raccontò lo spaventoso avvenimento, di cui egli era stato testimone e vittima, conchiudendo il suo discorso con queste parole – Ah! fratelli miei, se ognuno di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai facciamo penitenza in questa vita, per non doverla poi fare nell'altra, perché terribili sono quelle pene; combattiamo i nostri difetti, e correggiamoli, e specialmente guardiamoci dai piccoli falli, poiché il Giudice divino ne tiene stretto conto. La maestà divina è tanto santa che non può soffrire nei suoi eletti la minima macchia. - Dopo di che si pose in letto, ove visse per lo spazio di un anno in mezzo ad incredibili sofferenze prodottegli dall'ardore della piaga che gli si era formata sulla mano. Prima di spirare esortò nuovamente i suoi confratelli a ricordarsi dei rigori della divina giustizia, e quindi morì nel bacio del Signore. Lo storico soggiunge che questo esempio terribile rianimò il fervore in tutti i monasteri, e che i religiosi si eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, affine d'essere salvi da così atroci supplizi.

Un fatto quasi uguale avvenne alla beata Caterina da Racconigi (Diario Domenicano, Vita della Beata, 4 Sett.). Una sera, mentre ella assalita dalla febbre stava coricata in letto si mise a pensare agli ardori del Purgatorio, e secondo la sua abitudine, rapita di lì a poco in estasi, fu condotta da nostro Signore in quel luogo di pena. Mentre osservava con terrore quegli ardenti bracieri e quelle fiamme divoratrici, in mezzo alle quali son trattenute le anime che hanno ancora da espiare qualche fallo, udì una voce che le disse: - Caterina, affinché tu con maggior fervore possa procurare la liberazione di queste anime, sperimenterai per un istante nel tuo corpo le loro sofferenze. - In questo mentre una favilla di quel fuoco andò a colpirla nella guancia sinistra: le consorelle che si trovavano vicino a lei per curarla videro benissimo questo fatto, e nel tempo stesso osservarono con orrore che il viso di lei si gonfiò in maniera spaventosa, mantenendosi poi per più giorni in quello stato. La Beata raccontava alle sue sorelle che tutti i patimenti da lei sofferti fino a quel momento (ed erano stati molti), erano nulla a paragone di quello che le faceva soffrire quella scintilla. Fino a quel giorno erasi sempre occupata in modo tutto speciale di sollevare le anime purganti, ma d'allora in poi raddoppiò il fervore e l'austerità per accelerare la loro liberazione, poiché sapeva omai per esperienza il gran bisogno che quelle hanno d'essere sottratte ai loro supplizi.

Racconteremo ora quanto accadde a Sancio virtuosissimo re di Spagna, com'è riferito da Giovanni Vasquez. (Cronica, an. 940).
Questo principe, fervente cristiano, morì avvelenato da uno de' suoi vassalli. Dopo la sua morte la consorte Guda non cessava di pregare e di far pregare pel riposo di quell'anima: fece celebrare un numero immenso di Messe, e per non separarsi da quelle care spoglie, prese il velo nel monastero di Castiglia, dove era stato sepolto il corpo del consorte. Indi a qualche tempo mentre un sabato ella stava pregando con gran fervore la SS. Vergine per la liberazione del defunto, le apparve costui, ma oh Dio! in qual misero stato! Era vestito in gramaglia, e per cintura portava doppio giro di catene arroventate, e rivolgendosi a Guda, le disse: - Ti ringrazio delle preghiere che fai per me e delle Messe che facesti celebrare in mio suffragio, ma prosegui, te ne prego, in quest'opera caritatevole. Se tu sapessi quanto io soffro faresti certamente assai di più, e il tuo zelo nel sollevare me, che tanto amasti sulla terra e che non hai cessato di amare, aumenterebbe d'assai. Per le viscere della divina misericordia soccorrimi, o Guda, soccorrimi, poiché queste fiamme mi divorano! - La pia Regina incominciò allora a raddoppiare preghiere, digiuni e buone opere affin di sollevare quell'anima sì duramente martoriata. Per quaranta giorni non cessò di piangere a calde lacrime per ispegnere le fiamme che divoravano il suo povero marito; fece dispensare larghe elemosine ai poveri a nome del defunto, fece celebrare un gran numero di Messe, e a tal fine donò al monastero splendidi arredi. Passati i quaranta giorni le apparve nuovamente il Re, ma libero dalle catene di fuoco, e invece di gramaglia, ricoperto di un manto candidassimo, nel quale Guda riconobbe con sorpresa quello da lei donato alla chiesa del monastero, e che scomparso all'improvviso - dalla sacristia, si credette involato dai ladri. - Ecco, le disse il Re; grazie a te, io son libero e non ho più nulla a soffrire; sii benedetta per sempre! Persevera nei tuoi pii esercizi, e medita spesso sul rigore delle pene dell'altra vita e sulle gioie del Paradiso, dove io vado ad aspettarti. - A tali detti la Regina, piena di gioia, volle tendere le braccia verso il defunto consorte, ma questo disparve lasciando in mano di lei il mantello, che ella rese alla chiesa cui lo aveva donato la prima volta.

Assai interessante il fatto seguente, che leggiamo nella vita di S. Nicola da Tolentino. Un sabato, di notte, mentre il Santo dormiva, vide in sogno una povera anima del Purgatorio, che lo supplicò di celebrare nella mattina seguente il divin Sacrificio per lei e per molte altre anime che soffrivano in Purgatorio. Il Santo, avendo riconosciuto la voce di chi gli parlava, senza potersi tuttavia ricordare a quale persona a lui nota appartenesse, domandò allo spirito chi fosse. - Io sono il tuo defunto amico Fra Pellegrino da Osimo, che purtroppo sarei andato dannato senza il soccorso della divina misericordia; mi trovo in luogo di pena; ho bisogno del tuo aiuto, ed anche a nome di molte altre anime infelici vengo a supplicarti di voler celebrare per noi domani la santa Messa, dalla quale attendiamo la liberazione, o almeno un gran sollievo dalle nostre pene. - Voglia il Signore applicarti i meriti del suo Sangue prezioso, rispose il Santo, ma in quanto a me, non posso soccorrerti domani col suffragio che mi domandi, perché essendo officiante di settimana, siccome domani è giorno di festa, non potrei celebrare all'altare del coro la Messa dei defunti. – Deh! vieni, vieni almeno con me, gridò allora il defunto con lacrime e singhiozzi, te ne scongiuro per amor di Dio, vieni a contemplare le nostre sofferenze, e non sarai più sì crudele da negarmi il favore che ti domando: so che il tuo cuore è troppo buono perché tu possa più oltre lasciarci in tante pene. Parve allora al Santo di essere trasportato in Purgatorio, dove vide una vasta pianura, nella quale una moltitudine di anime di tutte le età e condizioni erano tormentate con vari ed atroci supplizi. E qui bisognerebbe la penna dell'immortale Alighieri, del cantore sublime dell'Inferno e del Purgatorio per riferire i tormenti indicibili da cui vide il Santo afflitte quelle povere anime, e forse l'immaginazione stessa di Dante impallidirebbe dinanzi a tanto spettacolo di dolore. Non ci proveremo quindi a farlo, ma diremo solo che quegli spiriti penanti imploravano in coro coi gesti e colla voce gemente l'aiuto di san Nicola, al quale Fra Pellegrino disse: - Ecco, come vedi, la situazione di quelli che mi hanno a te inviato: essendo tu caro al Signore, confidiamo che nulla rifiuterà egli all'oblazione del santo Sacrificio compiuta dalle tue mani, e siamo sicuri che la divina misericordia ci libererà. - Sparita in tal modo l'apparizione, il Santo non poté frenare le lacrime alla considerazione di sì straziante spettacolo, e postosi in preghiera per tutto il resto della notte, appena albeggiato corse a trovare il priore per raccontargli l'accaduto. Questi, penetrato dalla descrizione di quelle pene, lo dispensò non solo per quel giorno, ma per l'intera settimana dall'ufficio di ebdomadario, onde potesse durante quel tempo offrire il divin Sacrificio a sollievo di quelle povere anime. Il Santo in quel giorno e per tutta la settimana celebrò la Messa con straordinario fervore, dedicandosi inoltre giorno e notte alla pratica delle virtù e delle penitenze più austere, prolungando le sue veglie e le sue orazioni, digiunando a pane ed acqua, martoriando il suo corpo con discipline e portando una catena di ferro strettamente serrata ai fianchi. Al termine di quei sette giorni, il Santo ebbe la consolazione di vedersi nuovamente comparire Fra Pellegrino, non più in mezzo a quelle orribili torture, ma ricoperto di una veste candidissima e circondato di splendori celesti, in mezzo ai quali gioivano molte altre anime benedette, che tutte salutarono il Santo, chiamandolo loro liberatore, e cantando mentre salivano al cielo: Salvasti nos de affligentibus nos, et odientes nos confudisti! (Ps. 43, 7).

Un altro fatto assai impressionante si legge nelle cronache domenicane a proposito del fuoco del Purgatorio (v. Ferdinando di Castiglia, Storia di S. Domenico, 2a parte, libro I, cap. a3).
A Zamora, città del regno di Leon in Spagna, viveva in un convento di Domenicani un buon religioso, legato in santa amicizia ad un Francescano, uomo anch'egli di esimia virtù. Un giorno in cui i due frati s'intrattenevano fra loro di cose spirituali, si promisero scambievolmente che il primo che fosse morto sarebbe apparso all'altro, se così a Dio fosse piaciuto, per informarlo della sorte toccatagli nell'altro mondo. Morì per primo il Francescano, e, fedele alla sua promessa, apparve un giorno al religioso Domenicano mentre stava preparando il refettorio, e - dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere bensì salvo, ma che gli rimaneva ancora molto da soffrire per una infinità di piccoli falli, dei quali non si era emendato durante la vita. Poi soggiunse: - Niente v'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene. - E perché l'amico ne avesse una prova, il defunto stese la destra sulla tavola del refettorio, dove l'impronta rimase così profonda, quasi vi avessero applicato sopra un ferro rovente. Quella tavola si conservò a Zamora fino al termine del ‘700, epoca nella quale le rivoluzioni politiche la fecero sparire insieme con tanti altri ricordi di pietà dei quali abbondava l'Europa.
«Usque ad novissimum quadrantem!»

Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leggeri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, illudendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell'altra vita.

Si legge nella vita della ven. Agnese di Gesù, religiosa domenicana, che per più di un anno sottopose il suo corpo ad asprissime penitenze, ed innalzò a Dio molte e ferventi preghiere pel defunto padre del suo confessore. Quest'anima le appariva sovente implorando i suffragi di lei, e un giorno avendole toccata una spalla con la mano, ebbe a soffrirci per più di sei ore gli ardori intollerabili del Purgatorio: finalmente il defunto fu liberato dopo tredici mesi da quelle torture. Sopra di che gli autori delle memorie sulla vita della madre Agnese fanno osservare il rigore dei divini giudizi; poiché il defunto avea santamente vissuto nel secolo, era un confessore della fede, essendo stato perseguitato dai protestanti di Nimes, i quali si erano impadroniti de' suoi beni, l'aveano gettato in prigione e vessata con ogni sorta di angherie; prima di morire aveva sopportato con pazienza esemplare una lunga e dolorosa malattia; eppure nonostante tanti meriti acquistati, nonostante i digiuni, le preghiere, le discipline della caritatevole Agnese, nonostante le numerose Messe celebrate dal figlio suo, ei restò più di un anno in mezzo a quelle torture spaventose.

Ma udite un esempio ancor più meraviglioso. Allorché questa stessa madre Agnese era priora del suo monastero, una delle religiose per nome suor Angelica, venuta a morte, il dì seguente, a quello in cui era spirata il confessore della comunità ordinò alla superiora che si recasse a pregare sulla tomba di lei. Vi andò ella infatti, e trovandosi là inginocchiata tutta sola e nel cupo della notte, fu assalita da un subitaneo timore, insinuatole forse dal demonio, che voleva distorla da quel caritatevole officio. Abituata però com'era alle sue astuzie, si tenne salda ed offrì a Dio quello spavento in espiazione per la defunta, rappresentandogli come non fosse curiosità ma obbedienza che la induceva ad interessarsi dello stato di quell'anima, e poiché era a lui piaciuto di farla custode in vita di quella povera pecorella, fosse naturale ch'ella trepidasse per lei dopo la morte. Ed ecco venirle innanzi la morta in abito da religiosa, emettendo dal capo come una fiamma ardente, il cui calore bruciava quasi il viso della priora, alla quale suor Angelica con grande umiltà domandò perdono dei dispiaceri causatile durante la vita, ringraziandola dell'affettuosa assistenza che le avea prodigata nell'ultima malattia. La madre Agnese, da parte sua, tutta confusa, domandava perdono alla suora, pretendendo nella sua umiltà di non averle prestato tutte quelle cure, alle quali sarebbe stata tenuta nella sua carica di superiora. Ma suor Angelica seguitava a ringraziarla e ad attestarle la sua riconoscenza, perché in vita le aveva spesso inculcate quelle parole del Vangelo: «Maledetto colui che compie con negligenza l'opera di Dio». La spronava in pari tempo ad eccitare le suore a servir Dio con sollecitudine e ad amarlo con tutto il cuore, e soggiunse: - Se si potesse arrivare a comprendere quanto son grandi i tormenti del Purgatorio, si starebbe sempre all'erta per cercare di evitarli. -

Tutti sanno quanto grande fosse il fervore delle prime compagne di S. Teresa, di quelle anime elette, che ella si era associate per la riforma del Carmelo. Eppure malgrado la loro santità e le loro eroiche penitenze, quasi tutte dovettero provare le pene del Purgatorio. Ecco quanto racconta a tal proposito la Santa stessa (Vita S. Teresa, scritta da lei stessa, cap. 30).« Una religiosa di questo monastero, gran serva di Dio, essendo morta appena da due giorni e recitandosi per lei in coro l'Ufficio dei defunti, mentre una suora leggeva una lezione ed io ero in piedi per dire il versetto, alla metà della lezione vidi l'anima della suddetta uscire dal fondo della terra e salire al cielo. « Nello stesso monastero moriva, in età di diciotto o venti anni circa, un'altra religiosa vero modello di fervore e di virtù, la cui vita era stata una serie non interrotta di patimenti e di dolori sofferti con ammirabile pazienza. Io non dubitavo che sarebbe libera dalle fiamme del Purgatorio; eppure, mentre circa quattro ore dopo la sua morte recitavo l'Ufficio, vidi parimenti la sua anima uscir dalla terra e salire al cielo ».

Dalla vita della beata Stefanina Quinzana togliamo un esempio, che avvalora quanto stiamo asserendo. Una religiosa domenicana, chiamata Suor Paola, era morta a Mantova dopo una lunga vita menata nell'esercizio delle più eroiche virtù. Il cadavere di lei, portato in chiesa, era stato posto in mezzo al coro, e mentre, secondo il rito ecclesiastico, ne veniva fatta l'assoluzione, la beata Stefanina Quinzana, che era legata da stretta amicizia alla defunta, inginocchiatasi presso la bara, si pose a raccomandare a Dio con tutto il fervore dell'anima la compianta amica. Quand'ecco questa all'improvviso lasciar cadere il crocifisso che teneva fra le mani, tendere la sinistra, ed afferrando con questa la mano destra della beata, stringerla con tanta forza, da non poterla più svincolare. Per più di un'ora quelle due mani restarono così serrate, durante il qual tempo Suor Stefanina sentiva in fondo al suo cuore una voce inarticolata, che diceva: - Soccorretemi, sorella mia, soccorretemi negli spaventosi supplizi che mi tormentano. Oh! se sapeste la rabbia dei nostri nemici invisibili nell'ora della morte, e la severità del Giudice che esige il nostro amore, che esamina le nostre più indifferenti operazioni, e l'espiazione da farsi prima di giungere alla ricompensa! Se sapeste come bisogna esser puri per ottenere la corona immortale! Pregate molto per me, sorella mia; ponetevi mediatrice fra la giustizia di Dio e i falli di me meschina; pregate, pregate e fate penitenza per me che non posso più aiutarmi. - Tutta la comunità rimase stupita a quel fatto, quantunque nessuno intendesse i lamenti della defunta; finalmente intervenne il superiore che in virtù di santa obbedienza comandò a suor Paola di lasciare Stefanina. Ubbidì subito la defunta, e la sua mano ripiombò inanimata sul feretro. - La storia della Beata riferisce che ella fu fedele alla preghiera dell'amica, e si diè ad ogni sorta di penitenze e di opere soddisfattorie, finché una nuova rivelazione le fece conoscere che suor Paola era stata finalmente liberata da quei tormenti ed ammessa alla gloria eterna.
Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, considerando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz'averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell'altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affermare quanto andiamo dicendo.

Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Romana, nella professione perfetta dei tre stati di vergine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz'Ordine di san Domenico, un giorno in cui s'intrattenevano delle cose dell'altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all'altra. Dopo cinque anni Cornelia passò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: - O Cornelia, Cornelia mia, come sono felice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l'altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. - Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: - Vieni con me, e ti farò vedere cose meravigliose. - E postosi in cammino, arrivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. - Leggi - disse Cornelia all'amica. Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quelle foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia - rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronunziate da nostro Signore nell'ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cattiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare in cielo è necessario che le foglie del male siano distrutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poiché guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseverato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro. Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far convinta. - E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le foglie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosamente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: - Fermati, le disse l'amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d'ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. - Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. - O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s'avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? - Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l'abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della mancanza di fervore, bisogna che faccia ora quella penitenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile. -

Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perché visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Agostino aveva tutt'altra idea del rigore dei divini giudizi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell'anima della sua santa madre Monica. A proposito dell'eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, riportiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7).

Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pietà veniva soprannominato l'Angelico, uno de' suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai religiosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr'egli stava passeggiando assorto in meditazione per un viale del giardino, gli apparve il defunto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole: - Caro maestro, ve ne scongiuro, abbiate pietà di me e soccorretemi. - E qual bisogno avete de' miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esattamente soddisfatto all'obbligo che le nostre costituzioni c'impongono, a quest'ora sarei già nella celeste Gerusalemme. - E poiché il religioso allegava per scusa la vita santa ch'egli aveva menato, le preghiere, le penitenze, l'esattezza scrupolosa da lui usata nell'osservanza della regola e tante altre sublimi virtù, il defunto esclamò: - Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L'infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l'uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui? Occorre rendere conto a Dio fino all'ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po' meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! - E ciò detto scomparve. Affrettatosi il buon religioso a celebrare le tre Messe domandate, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell'anima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricompensa delle sue virtù.

Da tutto questo dobbiamo concludere che purtroppo non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve macchia nei suoi Santi. Se si meditassero un po' più spesso queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pregherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.

Fonte: Il Purgatorio nella Rivelazione dei Santi.



Un vescovo zelante abbandonato in purgatorio tramite Beata Vergine Maria di apostolato il 01/11/12



Nel libretto intitolato “I nostri morti – La casa di tutti”, Don Giuseppe Tomaselli narra un fatto che fa riflettere. Un giorno, un anziano 
sacerdote gli disse che viaggiando tanto per l'Europa, l'Asia e l'Africa, aveva avuto modo di conoscere numerosi religiosi e prelati; ma l'uomo più santo che aveva conosciuto era stato Mons. Giovanni Battista Marenco, il zelantissimo vescovo della diocesi di Massa Carrara, morto il 22 ottobre 1921. Dopo circa sette anni dal decesso, in un convento di suore salesiane accadde un fatto sorprendente. Un giorno, verso l'imbrunire, la suora portinaia era nel cortile. Il portone era chiuso. Con sua meraviglia vide sotto i portici un ecclesiastico che passeggiava col capo chino e meditabondo. La suora domandò tra sé chi fosse quella persona, e come aveva fatto ad entrare se il portone era chiuso. Avvicinatasi riconobbe Mons. Marenco.

- Eccellenza, e voi qui?... Non siete morto?...
- Mi avete lasciato in Purgatorio!... Ho lavorato tanto in questo Istituto e non si prega più per me!
- In Purgatorio?... Un Vescovo così santo?...
- Non basta esser santi davanti agli uomini; bisogna essere tali davanti a Dio!... Pregate per me!...

Ciò detto, sparì. La Suora corse ad informare la superiora, e l'indomani tutte e due si diressero alla volta di Torino, per narrare il fatto al Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Filippo Rinaldi, il quale indisse pubbliche preghiere nel Santuario di Maria Ausiliatrice, onde intensificare i suffragi. Dopo una settimana Mons. Marenco riapparve nello stesso Istituto, dicendo: Sono uscito dal Purgatorio!... Ringrazio della carità!... Prego per voi! -

Questo fatto deve far riflettere. Se un vescovo zelantissimo e di grande virtù è stato tenuto per anni a soffrire atrocemente in purgatorio, figuriamoci cosa accade a quelle anime che conducono una vita rilassata e peccaminosa, e che si salvano per un pelo, dopo aver fatto in fin di vita una Confessione appena accettabile.









ORAZIONE DI SAN GREGORIO PAPA PER LA LIBERAZIONE DELLE ANIME SANTE DAL PURGATORIO



Dopo aver recitato per un intero mese consecutivamente questa preghiera. Anche quell’anima che sarebbe condannata fino al giorno del giudizio, verrà liberat
a lo stesso giorno


O Signore Gesù Cristo, questa orazione sia fatta a lode della tua ultima agonia, di tutte le piaghe, dei tuoi dolori, dei sudori e delle pene che tu soffristi sul Calvario per amore nostro. Ti prego di offrire tutto il tuo sudore, il tuo Sangue, le tue Piaghe al celeste Padre per i peccati commessi dall’anima di….. Pater nostro, Ave Maria, Eterno riposo.

O Signore Gesù Cristo, questa orazione sia fatta a lode della tua ultima agonia, delle grandi pene, dei martiri, e di tutto ciò che per noi hai sofferto, specialmente allorché il tuo Cuore fu squarciato. Ti prego di offrire i martiri e le pene tue al celeste Padre per tutti i peccati che ha commesso l’anima di…. In pensieri, parole, opere ed omissioni. Pater nostro, Ave Maria, Eterno riposo.

O Signore Gesù Cristo, questa orazione sia offerta in lode al grande amore che avesti per il genere umano e che ti sforzò a venire dal Cielo in terra a patire pene, martiri, e la morte stessa. Ti prego per quell’amore con cui apristi il Paradiso all’uomo che con il peccato aveva perduto, degnati di offrire al tuo celeste Padre i meriti infiniti per liberare l’anima di…. Da tutte le pene del Purgatorio. Pater nostro, Ave Maria, Eterno riposo.

Offerta

Amabilissimo mio Gesù, ti offro l’anima di…. E imploro sopra di lei uno ad uno, tutti i momenti, i patimenti, le azioni, le virtù, i meriti, le suppliche, i sospiri e i gemiti della tua Vita Santissima, Passione e Morte penosissima sulla Croce, il sacro Sangue che spargesti per la nostra salvezza e redenzione con tutti i meriti del Cuore Divino di
Maria santissima, di S. Giuseppe e di tutti i Santi. Amen.



















NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.