martedì 18 gennaio 2011

Che male c'è ?


CHE MALE C’E’?
Problemi di morale sessuale di Guido Gatti
1. IL SIGNIFICATO DI UNA DOMANDA
1. Che male c'è?
Applicata a mille situazioni diverse, la domanda ha generalmente il significato di una contestazione.
A prima vista sembra domandare le ragioni di un in­segnamento morale che si presenti in forma proibente, come sono di fatto molte norme della morale della Chie­sa: non commettere atti impuri, oppure: i rapporti pre­matrimoniali sono peccato, ecc. Ma la domanda è gene­ralmente retorica: essa è in realtà una affermazione e vuol dire: in questo determinato comportamento non ci vedo nulla di male; esso non danneggia nessuno; non può essere proibito; non credo che sia un peccato.
E l'affermazione sottintende a sua volta tutto un piano di convinzioni più generali. Come ad esempio quel­la per cui la determinazione di ciò che è bene o male in campo morale non può essere affidata a una decisione au­toritaria ma deve essere dimostrata, deve convincere. Posso dire che è peccaminoso o proibito un certo com­portamento solo se esso appare chiaramente negativo, sbagliato, ingiusto, dannoso.
Il compito di questa determinazione appartiene alla coscienza personale di ogni uomo; non può essere dele­gato a nessun altro. Nessuno può arrogarsi di decidere per nessun altro che cosa siano il bene e il male, che cosa sia peccato o non lo sia. C'è quindi in questa do­manda qualcosa di pregiudizialmente ostile all'insegna­mento morale della Chiesa.
Ma si tratta di una domanda legittima; che ha diritto a una risposta convincente.
E questa risposta deve cominciare a monte dell'esa­me, pure necessario, del comportamento in questione; deve cominciare da un'analisi dei termini stessi e del si­gnificato globale della domanda.
Che cosa significa dire che in un certo comportamen­to c'è o non c'è qualcosa di male? Di che genere di male si tratta? Che cosa è il peccato? Che cosa significa dire: questa cosa è o non è peccato?
Molte volte dietro la domanda: che male c'è? si na­sconde un'idea sbagliata del male e del bene, frutto di una cattiva informazione o di un insufficiente approfon­dimento del problema.
La stessa domanda è formulata spesso in modo an­cora più rozzo e impreciso: invece di dire: che male c'è?, si dice (o si pensa): perché è proibito?

2. Perché è proibito?
È in fondo la stessa domanda formulata in altro mo­do, una domanda che risuona spesso di fronte alla for­mulazione delle norme della morale cristiana soprattutto nel campo della sessualità.
Perché è proibita la masturbazione? Perché devono essere proibiti i rapporti prematrimoniali? Perché la Chiesa proibisce certi mezzi per la regolazione delle nascite?
Dobbiamo subito dire che, così formulata, la do­manda suona male. Anzi essa è male impostata; non è la domanda giusta, posta nei termini giusti.
Essa fa pensare alla morale come a un codice di proibizioni, magari arbitrarie.
Perché è proibito? sembra significare: ma chi lo proi­bisce?
Chi proibisce sarebbe naturalmente Dio, quando non addirittura chi pensa di rappresentarlo sulla terra e cioè la Chiesa. L'impegno morale si ridurrebbe in que­sto caso ad un atto di sottomissione alla signoria di Dio; un atto di obbedienza cieca, magari in linea con un cer­to modo di concepire la religione, ma profondamente ripugnante all'uomo di oggi, così giustamente fiero della sua dignità di essere libero e intelligente e dei suoi com­piti di autonoma progettazione della sua vita.
La prima cosa da fare di fronte a una domanda di questo genere è quindi quella di chiarirne i termini: che cosa vuol dire in questo caso il termine proibito, o il termine male, o il termine peccato?

3. Il progetto di Dio
Il Dio che si è rivelato in Cristo come padre ci chia­ma al compito di amministratori responsabili del mondo e della storia, anzi alla dignità di figli nella casa del pa­dre, quindi a un impegno morale assolutamente libero da ogni servilismo alienante, pieno di dignità e di ragio­nevolezza. Certo, nella morale cristiana ci sono anche dei no; ci sono, se si vuole, delle proibizioni; ci sono la realtà e la nozione del peccato.
Ma esse non contengono nulla di arbitrario; non sono un atto di imperio ma un appello alla ragione. Non si impongono con l'autorità di una volontà padrona ma con l'autorevolezza di una sapienza superiore e piena di amore. Essa ci aiuta a scoprire il progetto dello svi­luppo armonioso della nostra persona inciso nel nostro stesso essere, ma non sempre facilmente decifrabile dalla nostra intelligenza, limitata ed oscurata dal peccato.
Sotto l'apparenza della proibizione si nasconde quin­di in realtà un avvertimento premuroso oppure una va­lutazione obiettiva che chiede di convincere e di essere capita. Ma qual è il contenuto di questo avvertimento e di questa valutazione?

4. Ne va della nostra felicità
L'uomo è la realizzazione di un progetto di amore di Dio. Un progetto ha una sua logica interna, delle linee di sviluppo armoniose e sagge.
Il “progetto uomo” è però radicalmente diverso da ogni altro progetto creato. Esso è uscito dalle mani di Dio appena abbozzato. La sua realizzazione finale è affi­data all'uomo stesso. Ogni uomo, sia pure in collaborazione con Dio e con gli altri uomini, è chiamato così a essere un po' il creatore di se stesso.
Creatore è assai di più che esecutore. L'uomo non si limita a produrre su stampo, in serie: egli è chiamato a essere un po' anche autore del suo progetto di vita. Ogni uomo è un artista, chiamato a fare della sua vita un ca­polavoro unico e irripetibile. La sua vita esce dalla sua intelligenza e dalla sua libertà: è lui a inventarla. Ma ci sono delle linee della sua autorealizzazione che sono sottratte alla sua creatività, che sono già decise da quello che lui è, così come è uscito dalle mani di Dio.
Ci sono cose che lo realizzano e cose che, lo voglia o non lo voglia egli stesso, lo distruggono come uomo, gli impediscono di diventare se stesso, di realizzare quel progetto d'amore di Dio che c'è in lui.
Così la verità lo fa più uomo, la menzogna meno uomo; l'amore lo realizza, l'egoismo gli impedisce di realizzarsi. Ci sono cause degne di lui: dedicandosi ad esse egli si costruisce come uomo; ci sono cause asser­vendosi alle quali egli si distrugge.
E la cosa non è indifferente. Realizzarsi non è un lusso inutile. Solo nella realizzazione di sé l'uomo trova la sua vera felicità. Solo raggiungendo la vera pienezza del suo essere egli trova quella pace e quella gioia per cui è fatto e a cui aspira con tutte le sue forze.
Ne va quindi della sua felicità.
Il comandamento di Dio è là ad avvertirlo.
Ne va della sua riuscita di uomo. Il comandamento di Dio non dice soltanto: questo è bene; questo è male. Dice: questo ti realizza, questo ti distrugge, come uomo. È per questo che sei fatto. Queste sono invece realtà che impoveriscono la tua dignità.

5. Un appello di amore
Quello che tocca l'uomo così a fondo, tocca anche Dio. Non come il padrone è toccato dall'ubbidienza o dalla ribellione del servo, ma come il padre è toccato dalla riuscita o dal fallimento del figlio.
Perché Dio ci ama come un padre. Segue con amore l'esito di quell'avventura che è ogni vita umana. Questo amore è per noi un appello e una promessa. L'appello a rispondervi con il nostro amore; a fare del nostro impegno morale e quindi della nostra realizzazio­ne umana un sì, pieno di riconoscenza e di amore, all' amore di Dio, l'amore di un padre che non ha esitato a sacrificare per noi il suo Figlio.
Una promessa: Dio ci ama sul serio e si promette a noi per una comunione di amore che sigillerà la nostra riuscita umana con una felicità eterna. Dio ci ama, ci vuole partners di un dialogo che riempirà di luce e di gioia la nostra vita nel suo regno. Dio vuole darsi a noi se lo accogliamo nella nostra vita. La nostra storia di uomini è destinata ad avere il suo compimento in lui.
La minaccia dell'inferno, cioè di una perdizione eter­na, non va vista perciò nella prospettiva di una punizio­ne irrogata da un tiranno nei confronti dei suoi ribelli, ma in quella di un avvertimento sulla smisurata ampiez­za delle conseguenze delle scelte decisive della nostra vita. Sulle fragili spalle della nostra libertà pesa un desti­no di eternità. La morte siglerà in modo irrevocabile la nostra riuscita o il nostro fallimento come uomini, e pro­lungherà il nostro sì o il nostro no a Dio in una eternità di amore e di gioia, o in una eternità di disperato rifiuto e di odio infelice, contro il quale neppure l'amore di Dio potrà più nulla.

6. Il magistero della Chiesa
La lettura del progetto di Dio che è scritto in noi, anche supponendo l'aiuto della sua parola, di quella parola viva che è stata Cristo e poi della parola scritta che è la Bibbia, non è sempre facile.
Anche perché le indicazioni morali della Bibbia riflettono sì l'intenzione di Dio, ma anche la cultura e la mentalità delle persone di cui egli si è servito per parlare all’uomo.
Una cultura e una mentalità, che possono essere anche molto lontane dalle nostre, interferiscono nelle pagine ­della Bibbia con il messaggio di Dio.
Essa ha quindi bisogno di essere tradotta nel nostro linuaggio e nella nostra cultura; ha bisogno di essere resa contemporanea a noi, cioè capace di parlare le pa­role di Dio qui e ora. Cioè ha bisogno di una interpre­tazione non sempre facile.
D'altra parte il credente, in questo impegno di deci­frazione, non è abbandonato a se stesso. Lo sorregge e lo illumina la Chiesa, che di questa parola di Dio è l'inter­prete autorevole e sempre viva. Il credente riconosce in essa una maestra di verità, la cui autorevolezza è stata garantita una volta per tutte da Cristo che le ha promes­so l'assistenza indefettibile dello Spirito Santo.

7. Norma oggettiva e coscienza personale
Ma come la parola di Dio, anche l'insegnamento della Chiesa, per un verso non dice tutto, e per l'altro ha bisogno a sua volta di essere interpretato e applicato alle situazioni particolari in cui si vengono a trovare le singole persone.
Questo compito di interpretazione e di applicazione è affidato alla coscienza personale.
Essa è l'intelligenza umana in quanto sottoposta all’appello di Dio, capace di interpretare il suo progetto, di completarne le linee concrete con la sua sapiente crea­tività.
Essa ha quindi anche un carattere progettuale e crea­tivo. Non però in modo arbitrario, ma dentro le grandi linee del progetto di Dio inscritte nello stesso essere umano. La coscienza non è un legislatore autonomo, padrone del bene e del male, ma uno strumento di ricer­ca della verità, tenuto a indagarla con onestà e a rico­noscerla lealmente, una volta trovata.
In questa ricerca la coscienza, nonostante l'onestà e il rigore più ineccepibile, può anche errare e ritenere bene il male e viceversa.
Nella misura in cui questo errore fosse incolpevole, la coscienza erronea non intaccherebbe la positività mo­rale delle scelte personali che resterebbero buone in for­za di questo sincero amore della verità e del bene da cui sarebbe in questo caso ispirata. Purtroppo però la co­scienza può essere sviata dalla volontà, più o meno con­sapevole, di legittimare scelte di comodo.
In questo caso non sarebbe più né sincera né incol­pevole. L'intelligenza umana in questo genere di ricerca che mette in questione la stessa vita del soggetto è pro­fondamente influenzata dagli atteggiamenti, dalla menta­lità, dalle abitudini del soggetto stesso, quindi dalla sua libertà.
Di fronte a tanti tentativi di giustificazione di questo genere: la mia coscienza mi dice...; in coscienza mi sento autorizzato..., non si può pregiudizialmente e in ogni caso dubitare della sincerità di queste espressioni o addi­rittura negarla, ritenendole sempre giustificazioni di co­modo; tuttavia bisogna mettere realisticamente in pre­ventivo anche questa possibilità e invitare a una verifica leale delle motivazioni obiettive e della sincerità di qui ste decisioni di cui i soggetti si assumono la responsa­bilità davanti a Dio che legge nei cuori. Il solo fatto di sapere che la Chiesa ha un preciso insegnamento diverso da quello che sembra essere il giudizio della propria co­scienza, dovrebbe mettere sull'avviso il credente e spin­gerlo a una revisione scrupolosa della validità delle pro­prie convinzioni.
La fede infatti porta il cristiano a una realistica e sa­lutare diffidenza nei confronti del proprio modo di vede­re le cose, quando questo modo è in linea con ciò che è più comodo e più allettante.

2. MORALE CRISTIANA E REALTA’ SESSUALE
1. I valori morali della realtà sessuale
Le proibizioni indicano dunque dei valori da cui di­pende la realizzazione dell'uomo e quindi la sua risposta d'amore a Dio. Ma quali sono i valori in gioco nel cam­po della sessualità?
E’ chiaro che li dovremo cercare proprio attraverso un'analisi della realtà sessuale; si tratta di scoprire qual è il suo significato nell'esistenza umana e nell'itinerario di crescita e di autorealizzazione dell'uomo. La sessua­lità è una realtà complessa che affonda le sue radici nel­la funzione biologica della procreazione, ma che tocca tutti gli strati della personalità, e influisce profonda­mente sia sulla emotività e affettività come pure sulle funzioni superiori dello spirito.
Già per quello che riguarda la funzione procreativa, la sessualità umana differisce da quella semplicemente animale (nonostante l'identità dei meccanismi fisiologici) per la specificità spirituale della nuova vita cui essa dà luogo, che è una vita umana, quindi una realtà spirituale, che ha bisogno di essere condotta alla sua maturità con un lungo e difficile accompagnamento educativo. Di qui il bisogno della famiglia, come luogo privilegiato e indi­spensabile per questa educazione.
E il bisogno che la famiglia assicuri una adeguata sicurezza affettiva e sia quindi una convivenza piena di rispetto, di accettazione reciproca e di amore premuroso. La fecondità rappresenta quindi, già per se stessa, uno specifico valore morale legato alla sessualità, capace di fare della sessualità un campo di grandi responsabilità morali.
Ma oltre a questa finalità procreativa, la sessualità gioca nell'uomo anche una funzione espressiva, ancora più specificamente umana, e quindi capace di costituire il valore morale più importante in questo settore. La ses­sualità è cioè chiamata a diventare il linguaggio di quel­la realtà propria solo dell'uomo che è l'amore. L'amore coniugale è quindi il significato specificamente umano della sessualità, tanto che nel linguaggio corrente ne è diventata quasi un sinonimo.
E questo col rischio di gravi fraintendimenti: non di rado si chiamano col nome di amore comportamenti sessuali che dell'amore sono soltanto una brutale o raffi­nata mistificazione. Si pensi alla prostituzione, detta appunto, con una stridente contraddizione in termini, « amore mercenario » e che, più disumano di qualunque altro rapporto mercenario, include il disprezzo del part­ner e la sua riduzione a oggetto di compravendita e di consumo.

2. Il vero amore
L'amore che la sessualità è chiamata ad esprimere, proprio perché realtà integralmente umana, è qualcosa di molto più grande e più nobile della pura attrazione sessuale da cui pure prende lo spunto, da cui trae riserve di energia e di cui reca i connotati nella sua fisionomia psichica.
E qualcosa di più nobile e di più grande ancora dello stesso sentimento amoroso, dell'affettività e della tene­rezza che pure include ed assume in sé. L'amore non diventa pienamente se stesso e quindi realtà personale e personalizzante se non quando, al di là dell'attrazione istintiva e del sentimento da cui pure parte e di cui si nutre, giunge a esprimersi in una decisione spirituale di  donazione reciproca e di appartenenza reciproca incon­dizionata e definitiva; cioè solo quando è capace di dire con assoluta verità: sarò tuo per sempre, tutto tuo, esclu­sivamente tuo. Un simile amore include quindi la dimen­sione corporea come quella affettiva: non è un fatto pu­ramente intellettuale e volontaristico; ma è veramente se stesso solo quando il corporeo e l'affettivo sono assunti e superati, senza essere rinnegati, nella vita dello spirito e sono vissuti in piena consapevolezza e libertà.

3. La storia dell'amore
È chiaro che un amore del genere non esplode in un solo istante; non appare già perfetto all'orizzonte della personalità. Come del resto si verifica per la stessa realtà sessuale che gli fa da linguaggio, ha una lunga storia nella vita della persona; è oggetto di uno sviluppo gra­duale e progressivo all'interno dello sviluppo armonico di tutta la personalità. Le sue prime manifestazioni risal­gono molto indietro nella storia della persona: ha biso­gno di avere alle sue spalle un'esperienza di sicurezza affettiva già nella prima infanzia.
Senza questa sazietà d'affetto, la personalità rischia di restare ancorata al cerchio chiuso della preoccupa­zione ossessiva di sé, eternamente bisognosa di ricevere ma incapace di aprirsi agli altri e di dare, come esige il vero amore.
L'amore ha bisogno poi di tempestive esperienze di socializzazione nella fanciullezza, come avviene normal­mente con i compagni di scuola e di gioco. È già rico­noscibile in germe nelle prime vere amicizie degli ado­lescenti. Gradualmente si rafforza, si chiarisce, diventa più autentico.
Fin dal suo primo sbocciare è profondamente segna­to dall'influsso dell'ambiente educativo; troppi ragazzi, ad esempio, vissuti in famiglie sbagliate o divise, in am­bienti educativi poveri di valori spirituali, entrano nella vita già precocemente bruciati, e forse incapaci per sem­pre di raggiungere certi livelli di autenticità e serietà nell'amore.

4. Educare l'amore
Ma crescere nell'amore è anche una responsabilità della persona, un compito affidato alla sua libertà. E si tratta proprio di un compito morale, cioè di uno di quei compiti da cui dipende la riuscita o meno dell'uomo in quanto uomo. Anzi è il compito morale per eccellenza, almeno nel campo della sessualità. È in questa educazio­ne di sé all'amore che il giovane esprime il suo sì o il suo no all'amore di Dio e quindi decide della sua felicità.
Ed eccoci ritornati alla domanda di partenza: che cosa sarà comandato o proibito, giusto o sbagliato, bene o male, in questo campo?
Sarà comandato, sarà bene appunto tutto ciò che è in linea con questa crescita dell'amore, che dilata e svilup­pa questa capacità di amare, e di amare con un amore vero.
Sarà proibito, cioè sarà male, sarà peccato tutto ciò che va, in modo serio e consapevole, nella direzione contraria, tutto ciò che significa un no all'autenticità dell'amore, che tarpa, magari per sempre, la capacità di amare con un amore vero, quindi tutto ciò che utilizza il linguaggio dell'amore per esprimere la ricerca egoistica di sé e la strumentalizzazione dell'altro. Ogni altro valo­re o disvalore che prende corpo nell'esercizio della ses­sualità può essere ricondotto in un modo o nell'altro a questo valore, che ci fornisce quindi il criterio ultimo e decisivo per la valutazione morale.

5. Educarsi a una crescita personale e responsabile
La dimensione evolutiva della sessualità e dell'amore conferiscono d'altra parte un particolare carattere di gradualità e, diremmo quasi, di sperimentalità a questo impegno morale.
I primi passi lungo questo difficile cammino sono molto spesso incerti, ed è più che spiegabile qualche ruzzolone.
Del resto non tutti hanno avuto una educazione ugualmente felice e hanno ricevuto quindi da essa una adeguata carica di energie spirituali. Solo crescendo e purificandosi progressivamente l'amore si impadronisce del linguaggio della sessualità in cui deve esprimersi e impara così a dominarlo. Le energie sessuali sono già presenti con tutta la loro vibrante tensione, quando la forza e la luce dell'amore che deve padroneggiarle è an­cora acerba, quando intelligenza e volontà sono ancora impari al loro compito.
Certo il credente sa di poter contare sulla grazia, ma anch'essa normalmente rispetta i vari momenti della evoluzione e della persona e si adegua ai tempi naturali di sviluppo dell'amore.
Ed ecco allora che la morale cristiana resta da un lato precisa e rigorosa nella presentazione dell'ideale e nella determinazione di ciò che è in se stesso giusto o sbagliato, moralmente costruttivo o distruttivo, ma d'altro lato si fa rispettosa dei ritmi concreti di crescita delle persone singole, e quindi comprensiva del carat­tere non sempre colpevole delle loro debolezze; preoccu­pata di mobilitare tutte le energie del soggetto ma anche di sdrammatizzare situazioni di ansietà, di chiarire sen­timenti di colpa morbosi o errati e soprattutto di rassi­curare ognuno con la certezza che l'amore misericordioso di Dio accompagna con pazienza l'itinerario della cre­scita dell'amore anche quando fosse segnato da debo­lezze, non sempre tutte ugualmente colpevoli.
Questo doppio metro di valutazione (rigoroso nei confronti del comportamento in se stesso e comprensivo nei confronti delle persone concrete) potrà sembrare a qualcuno una sottile forma di ipocrisia.
In realtà è l'unico modo di unire la fedeltà a un ideale che mette in gioco la felicità e la riuscita dell'uo­mo, e sul quale quindi non si può giocare a nascondino, con il necessario realismo educativo di chi vuol aiutare davvero le persone e non schiacciarle sotto il peso delle esigenze impersonali della legge. È l'unico modo di evi­tare la rigidità senza rinunciare al rigore.

3. CHE MALE C'È NELLA MASTURBAZIONE?
1. La salute non c'entra
Uno dei campi dove questo rigore è più discusso oggi e dove può sembrare ingiustificato e non concepi­bile per la mentalità moderna, è senz'altro quello della masturbazione dei ragazzi.
Riprendendo ancora una volta la domanda iniziale ci dobbiamo chiedere: che male c'è nella masturbazione? Perché deve essere proibita?
Le statistiche, anche se non tutte ugualmente serie, concordano nel dirci quanto sia diffusa soprattutto du­rante l'adolescenza. La psicologia e la psichiatria ci as­sicurano che nella maggioranza dei casi essa non com­porta, almeno a questa età e in assenza di altri sintomi, nessuna vera anormalità.
Tanto meno meritano credito le affermazioni allarmi­stiche circa presunti danni alla salute che essa arreche­rebbe. In passato tale affermazione era molto diffusa e non tanto tra i moralisti quanto proprio tra i medici e i naturalisti. Oggi nessuno la prende sul serio: la mastur­bazione non è fisiologicamente più debilitante di qual­siasi altra forma di esercizio della sessualità.
Neppure può essere considerato decisivo, agli effetti di una valutazione morale, il fatto che essa comporti una utilizzazione del sesso estranea alla finalità pro­creativa, soprattutto se questo fosse pensato come una specie di spreco dello sperma umano e delle sue capacità di vita.
Per quanto ognuno degli spermatozoi contenuti nello sperma abbia la possibilità teorica di fecondare un ovulo e di dare così origine a una nuova vita umana, sappia­mo bene quanto raramente questa possibilità si realizzi anche nell'atto sessuale normale. Anche nel caso che l'atto dia luogo alla concezione di una nuova vita, solo una delle cellule maschili raggiunge l'ovulo e lo feconda. Ma spesso ciò non avviene per nessuno di essi, e senza colpa morale da parte di nessuno. Anche quando si sa con certezza che il seme non feconderà nessun ovulo (come avviene per i coniugi che compiono l'atto coniu­gale in periodi naturalmente infecondi, per motivi di una giustificata regolazione delle nascite, in vista di una paternità responsabile) non c'è di per sé colpevolezza alcuna.
Del resto la natura è veramente prodiga, anzi si di­rebbe inesauribile nel moltiplicare il miracolo di queste potenzialità di vita. La ragione della valutazione morale negativa che l'insegnamento della Chiesa continua a dare della masturbazione allora va evidentemente cercata al­trove. E dove?

2. L'esclusione dell'amore
La ragione di questo no va cercata proprio nel rap­porto tra questa pratica e il significato della sessualità che come abbiamo visto è l'amore. Ci potrà aiutare a capirlo il conoscere che cosa provoca la masturbazione e i suoi vari momenti.
Utilizzando una distinzione (e anche la terminologia relativa) introdotta da Freud, potremmo dire che la ma­sturbazione si realizza a livello di sessualità genitale nel suo aspetto fisiologico, ma a livello di sessualità prege­nitale nel suo aspetto psicologico. Pregenitale è quella sessualità che si verifica negli immaturi; una sessualità incapace di esprimere amore, rivolta solo al consumo del piacere, all'alleviamento di una tensione fisiologica.
Ora la masturbazione sul piano degli atteggiamenti interiori appartiene al campo delle forme infantili di sessualità, cioè di quelle forme che escludono il ricono­scimento della complementarità reciproca tra i sessi e quindi il rapporto amoroso con un partner.
Essa però mette in gioco il linguaggio dell'amore, cioè l'uso della sessualità; ma lo fa al di fuori di ogni vero rapporto di amore, anzi di ogni rapporto con l'altro, in una specie di discorso solitario che tradisce profonda­mente il senso del linguaggio che parla. Utilizza il lin­guaggio dell'amore per esprimere egoismo.
Tutto ciò vale naturalmente per la pratica in se stes­sa; in molte situazioni essa potrà anche essere giudicata non colpevole per assenza di consapevolezza e di maturi­tà. Lo abbiamo già visto: ciò che abbiamo detto sopra vale in questo campo più che in ogni altro. Ma essa non potrà mai essere giustificata in se stes­sa, nella sua struttura oggettiva; mai la sessualità potrà ritenersi in régola con le esigenze della morale, fino a che resterà separata dall'amore.

3. Il pericolo di bloccare una crescita
Del resto, anche se spesso meno colpevole per i moti­vi visti sopra, la masturbazione mantiene una sua carica di pericolosità con cui bisogna fare i conti. Non per la salute fisica e forse neppure per quella psichica, se inte­sa in termini strettamente clinici, ma proprio per la cre­scita dell'amore. Ha in sé tutta la pericolosità di una soddisfazione troppo facile ma anche troppo misera. Essa rappresenta la scorciatoia del piacere, una scor­ciatoia che corre il rischio, se percorsa a lungo, di allar­garsi in un solco profondo che monopolizza gli interessi del soggetto e finisce per escludere la strada maestra. L'atto rischia di diventare abitudine, l'abitudine men­talità.
Un comportamento inizialmente frutto di una natura­le immaturità psicologica, normale nell'adolescenza, fi­nisce per radicarsi e causare una fissazione a livelli non più normali di immaturità, ormai difficili da superare. Il persistere dell'abitudine nell'età giovanile, e peggio ancora adulta, porta ad un atteggiamento narcisistico, in cui l'attenzione e l'interesse della persona sono bloc­cati sul soggetto stesso, che rimane incapace di un amore vero, candidato ad una vita coniugale povera e infelice. Si verifica in questo caso quello che si verifica a volte negli alcoolisti: ogni eccessiva dose di alcool compor­ta una lesione al fegato.
Inizialmente il fegato è dotato di buone capacità ri­generatrici. Ma alla lunga, le perde. Ogni lesione lascia una specie di cicatrice. Il fegato finisce per sclerotizzar­si e perdere tutta la sua capacità di funzionare: è la cir­rosi epatica, una malattia molto grave. Lo stesso avviene con l'abitudine della masturbazione: la ripetizione di un gesto di egoismo ferisce in modo anche irreversibile la capacità di amare in maniera autentica.

4. Impegnarsi a crescere
Questo significa che chi è vittima di questa abitudine, sia pure senza lasciarsi ossessionare dalla paura del pec­cato (che non aiuta molto a vincere questa abitudine), deve impegnarsi a crescere nell'amore e quindi anche a superare questa situazione di immaturità. Deve quindi combattere contro la masturbazione, con serenità ma an­che con serietà, portando avanti la maturazione globale della sua personalità soprattutto sui fronti dell'altruismo, dell'impegno nello studio e nel lavoro, vissuti come ser­vizio sociale, coltivando la capacità di comunicare, aprendosi agli altri, ai loro problemi, allargando l'oriz­zonte dei propri interessi e, naturalmente, approfonden­do la propria vita di fede ed utilizzando quindi tutti i mezzi e le energie della grazia.
In certi casi più gravi e in presenza di sintomi di disturbi psichici più profondi potrà giovare l'aiuto di uno psicologo serio e preparato, formato ai principi della morale cattolica.
Sempre sarà di aiuto la confidenza e la guida di un educatore saggio, amico e maestro di vita. Il superamento della mentalità narcisistica porterà gradualmente anche alla vittoria (magari non immediata) sull'abitudine, e alla scoperta delle meraviglie insospettate di una maggio­re capacità di amare.

4. L'AMORE A 16 ANNI
1. Una preoccupazione educativa
Oggi le occasioni di incontro tra ragazzi e ragazze si sono enormemente moltiplicate rispetto al passato an­che recente; si è molto accresciuta la permissività della nostra cultura e della nostra società nei confronti dei rapporti sentimentali ed affettivi tra ragazzi e ragazze. Una certa persistente diffidenza della Chiesa è facil­mente considerata un anacronismo, una sopravvivenza del passato, di quando tutta la cultura e la società con­dividevano questa diffidenza. Ma quali sono i motivi e le condizioni concrete di questa diffidenza?
Il motivo resta in fondo sempre lo stesso: quello che ispira tutte le preoccupazioni educative e pastorali della Chiesa in questo campo: appunto la crescita dell' amore, l'impegno di maturare una autentica capacità di amare e la consapevolezza di quanto facilmente questa maturazione può subire deviazioni o ferite anche gravi.
Ed è una consapevolezza piena di realismo. L'equili­brio tra l'amore e la sessualità che le serve da linguaggio è un equilibrio in tensione; un equilibrio che non è as­sicurato in partenza ma può e deve essere costruito solo gradualmente e non senza rinunce e sacrifici.

2. Amicizie costruttive
Ma detto questo, bisogna aggiungere che la diffidenza della Chiesa non è una opposizione assoluta. Ci sono forme di amicizia, di incontro e collaborazione, di vero e proprio rapporto affettivo di cui si deve dire non sol­tanto che non c'è nulla di male ma che c'è molto di be­ne, cioè molto di educativo e di funzionale allo sviluppo della capacità di amare.
Almeno nella nostra cultura, certe forme di incontro e di rapporto tra ragazzi e ragazze vanno ritenute co­me momenti necessari dell'apprendistato dell'amore.
Ma quali incontri e quali rapporti? È possibile deter­minarne le note positive e quelle negative e contrindicate? Certamente. La strumentalizzazione dell'amica o del­l'amico rappresenta ad esempio (anche se meno consa­pevole, come spesso purtroppo capita) un elemento ne­gativo. L'incontro reciproco, la collaborazione a livello di studio e di lavoro, il divertimento comune e anche i rapporti affettivi veri e propri, sono positivi quando si verificano in un clima di serietà, di rispetto, di natu­ralezza, di discrezione, di disinvoltura; quando la digni­tà di ognuno è rispettata e la personalità di ognuno è messa in condizione di svilupparsi armonicamente.
Ma queste connotazioni non vanno pensate in modo troppo rigido e statico: vanno giudicate ancora di più che per quello che già riescono a essere, per la direzione verso cui sono incamminate, per il tipo di crescita e per il progetto di maturazione in cui sono inserite. An­che qui la morale giovanile non esclude un certo carat­tere di gradualità e sperimentalità. Eventuali incertezze e dubbi marginali rispetto alla strada maestra, che deli­mita ciò che è giusto in assoluto, sono facilmente pre­ventivabili e quindi anche comprensibili. Esse non van­no perciò troppo severamente giudicate, quando c'è una sincera volontà di superamento e di crescita.
Una educazione saggia non può prefiggersi l'obiettivo di prevenirle ed impedirle in assoluto. L'importante è che nonostante queste debolezze la direzione globale del cammino sia rivolta verso l'avanti e lo sia sul serio, senza facili illusioni o mistificazioni interessate.
Questo si può dire solo se c'è una continua e leale verifica del proprio atteggiamento, solo se c'è la volontà e la capacità di imporsi le indispensabili rinunce e i sa­crifici che sono richiesti dalla crescita dell'amore. Natu­ralmente lo strumento più adatto, per una verifica del genere, è il dialogo penitenziale che si svolge all'interno del sacramento della riconciliazione e che ha una esplici­ta funzione educativa.

3. Il pericolo di giocare all'amore
Accanto a forme di incontro e di rapporto sostanzial­mente positive ci sono anche forme più o meno sicura­mente negative, di cui si può dire con ragionevole cer­tezza che, indipendentemente dal numero e dalla gravità di eventuali debolezze, non sono sulla linea della cre­scita dell'amore, anzi rappresentano per essa una minac­cia e un impoverimento.
Questo si può dire ad esempio di quei rapporti e in­contri tra ragazzi e ragazze che vengono condotti in un clima generale di disimpegno e di giocosità; quando cioè l'amicizia è in realtà un giocare all'amore nel senso peggiore del termine.
L'amore privo di ogni preoccupazione di autenticità cede il campo e affida la direzione delle operazioni alla attrazione sessuale e alla ricerca della soddisfazione im­mediata e della facile gratificazione. Tutto avviene a un livello molto superficiale e senza nessuna preoccupazione di arricchimento spirituale e di promozione personale reciproca.
Le meravigliose possibilità dell'evoluzione psico-sessuale vengono così rapidamente bruciate da esperien­ze intempestive e banali, che finiscono per condurre all'incapacità di credere all'amore e quindi a forme di ci­nismo che inaridiscono la personalità.
Questa non è soltanto la descrizione di una situazio­ne-limite; è la indicazione di un pericolo che sempre incombe su questa fase, per tanti aspetti meravigliosa ma delicata, dell'apprendistato dell'amore.

4. L'amore che illude
Spesso (ma per tanti motivi oggi meno che non in passato) anche le migliori tra le amicizie degli adole­scenti, quelle che sono state preparate da una educa­zione seria ed esigente, che sono accompagnate da un impegno responsabile di maturazione spirituale, posso­no andare incontro ad un pericolo opposto al precedente. Esse naturalmente sono circondate da tutto un alo­ne di romanticismo e costituiscono momenti irripetibili di incanto, tanto che diventa difficile per i soggetti in questione mantenere un certo senso di realismo nel va­lutare la vera qualità di questo rapporto.
Essi possono lasciarsi abbagliare dal clima magico del loro sentimento, e indirizzarlo fino al punto da scam­biarlo per amore vero, già perfettamente maturo.
E qualche volta possono essere portati a vedere in questa forma di amicizia l'amore già capace di segnare di sé tutta una vita e quindi di fondare quella comunio­ne di vita e di amore che è il matrimonio. Da queste forme di innamoramento facilmente illusorio nonostante le apparenze nascono infatti un certo numero di matri­moni precoci, purtroppo generalmente votati a un falli­mento altrettanto precoce o all'infelicità. È difficile dire a questi adolescenti che il loro amore, al di là dell'im­magine idealizzata che essi ne hanno, non è ancora l'amore vero e maturo, capace di sostenere una vita in­sieme, con le sue gioie ma anche con le sue difficoltà, a cui non sono ancora preparati. Non solo è difficile ma sembra quasi offensivo.
Eppure va detto. L'affetto da cui sono afferrati in mo­do a volte così drammatico e con risonanze emotive co­sì intense, difficilmente può essere un amore maturo. Perché non ancora matura nel suo insieme è tutta la per­sonalità dell'adolescente, soprattutto per quanto riguarda il suo inserimento sociale, la sua capacità di giudicare con realismo e di assumere responsabilità definitive.
Troppo facilmente questo amore si illude nei con­fronti di se stesso; essi non amano l'altro nella verità del suo essere; amano una immagine idealizzata della donna o dell'uomo che portano dentro di sé ma che non ha una vera corrispondenza nella realtà.
La probabilità che essi vadano incontro a gravi delu­sioni e a una rottura drammatica è tanto maggiore quan­to più cieco e idealizzato è il loro amore.
Ricerche serie hanno dimostrato che queste forme di amore precoce sono spesso la risposta inconscia a una fame di affetto, non abbastanza saziata nell'infanzia. Alcuni obiettano che questa relativa immaturità degli adolescenti, sul piano sia psicologico che sociale, non è un dato assoluto, perché dipende dalla cultura in cui uno vive. In altre culture, ad esempio presso popoli meno sviluppati e viventi in un diverso rapporto con la natura, non sembrano esistere forme così prolungate di immaturità, di transizione dall'infanzia all'età adulta. Dalla fanciullezza si passa di colpo alla maturità. A se­dici anni i giovani sono già sposati, soggetto pieno di responsabilità adulte.
Questo dimostra l'importanza della cultura e dell'am­biente educativo nell'evoluzione della persona. Ma pro­prio per questo non può dire nulla sullo sviluppo dell' uomo in generale. Ogni persona è legata alla sua cultura anche per i ritmi del suo sviluppo psichico. L'estrema complessità della nostra società e della nostra cultura im­pone inevitabili ritardi in questa maturazione psico-so­sociale, ritardi ai quali non è praticamente possibile sfuggire.
Naturalmente tutto questo non può essere brutal­mente buttato in faccia a questi adolescenti. Essi sono già in posizione reattiva nei confronti degli adulti e si confermerebbero nella loro contestazione e nel loro ri­fiuto. Non vanno snobbati o pregiudizialmente non cre­duti. Vanno accolti piuttosto con grande fiducia e ri­spetto, presi sul serio perfino al di là di quanto sappia­mo meriterebbero oggettivamente, aiutati a compiere fi­no in fondo una verifica spassionata dei loro sentimenti dal di dentro della loro esperienza.
In questo dialogo sempre più sincero ed approfondito tra di loro e con degli educatori, amici e padri nei loro confronti, essi stessi potranno chiarire a se stessi la vera natura dei loro sentimenti ed evitare esperienze troppo dolorose o passi irreparabili.

5. I RAPPORTI PREMATRIMONIALI
I. Che male c'è?
Nel periodo del fidanzamento vero e proprio, il dia­logo affettivo tra i due giovani assume un carattere mol­to più impegnativo e ha una sua certa ufficialità. Il ma­trimonio è un evento ormai vicino cui ci si prepara effet­tivamente e direttamente.
Il desiderio e il dovere di crescere nella conoscenza reciproca e nell'affettività rende sempre più frequenti ed affettuosi gli incontri e permette manifestazioni sem­pre più intime di amore.
Ma di fronte all'insegnamento tradizionale della Chiesa (spesso condiviso, almeno in linea di principio, dalle famiglie e da molti adulti) secondo il quale la mas­sima forma di unione, il più alto livello di intimità, cioè l'atto sessuale, è lecito solo dopo la celebrazione del ma­trimonio, molti giovani si chiedono polemici (e magari un po' scandalizzati) che cosa ci può essere di male nei cosiddetti « rapporti prematrimoniali ». Naturalmente non si parla qui dei rapporti sessuali che si realizzano tra persone che non si amano sul serio, che non intendo­no veramente impegnarsi in modo definitivo, che, al li­mite, continuano a vivere l'esperienza del loro incontro come un gioco prevalentemente sessuale, consapevoli dell'instabilità dei loro sentimenti, decisi a vivere un « amore alla giornata ».
Chi si trova in una situazione del genere del resto ha lasciato già molto indietro ogni preoccupazione morale e non si pone, almeno in modo serio, il problema di che cosa sia bene o di che cosa sia male in questo campo. Parliamo di persone che si amano (o pensano sincera­mente di amarsi) davvero, che si preparano a vivere quella comunione di vita e di amore che è il matrimonio, ma che per motivi diversi (di scuola, lavoro o altri) non sono ancora in grado di sposarsi.
Costoro si chiedono, a volte molto sinceramente, che cosa cambierà nella sostanza del loro amore il giorno della cerimonia nuziale e perché solo allora dovrebbe diventare lecito un gesto espressivo di un amore già fin d'ora pienamente autentico.
Perché, se ci vogliamo veramente bene, dicono, non possiamo dirci il nostro amore con il linguaggio della sessualità che è fatto apposta per esprimerlo?

2. Cosa insegna la morale cristiana
L'insegnamento della morale cristiana è noto. L'ab­biamo già accennato: l'atto coniugale è lecito solo nello stato matrimoniale vero e proprio, quello sancito e re­so irreversibile per il cristiano dal sacramento del ma­trimonio, riconosciuto quindi come tale dalla Chiesa e dalla società civile.
Qualsiasi altra espressione d'affetto sarebbe ugual­mente negativa nella misura in cui portasse all'unione sessuale, le equivalesse o ne fosse comunque una con­traffazione.
Ma su quale motivazione si fonda?
Non è facile dimostrare che un gesto fatto per espri­mere l'amore ne tradisca in realtà le leggi interne solo perché compiuto prima di un certo rito, sia pure solen­ne e di valore sociale, ma tale da non cambiare nulla nella natura psicologica dell'amore.
Anzi se si pretendesse una dimostrazione rigorosa e quasi matematica, forse essa risulterebbe impossibile. Per questo il credente lascia alla fede la parola de­cisiva, accetta l'insegnamento della Chiesa in questo campo, anche quando fatica un po' a capirlo, e lo fa per una questione di coerenza con la propria fede.

3. Quali ragioni porta
Questo non significa che al cristiano sia chiesto di credere in modo del tutto immotivato, di credere all'as­surdo, di ubbidire a dei veti irrazionali.
Per molti aspetti l'insegnamento della morale cristia­na appare profondamente ragionevole.
Intanto è necessario riconoscere che spesso il rappor­to prematrimoniale impone a uno dei due partners (ge­neralmente la ragazza) un comportamento che le fa in certo senso violenza; esso mette in gioco alcuni suoi in­teressi fondamentali che solo il matrimonio vero e pro­prio, socialmente riconosciuto, può tutelare in modo adeguato.
Anche quando, premuta e manipolata dal costume e dalle idee prevalenti nella cultura giovanile, fosse lei stessa a prendere l'iniziativa, non si può escludere del tutto che il rapporto violi le sue aspirazioni (magari in­consce) e quindi la sua libertà.
Allora, da parte dell'altro partner, compiere un gesto (imposto o accettato è lo stesso) che contiene latente una specie di sottile ricatto e di violenza psicologica è vero amore?
Ma supponiamo che così non sia; che l'amore sia vero e sincero da tutte e due le parti; che non ci sia nes­sun ricatto e nessuna violenza neppure inconscia.
Un rapporto del genere ignorerebbe ancora una di­mensione assolutamente essenziale dell'amore, la cui as­senza renderebbe meno autentico e quindi negativo e oggettivamente disordinato l'atto coniugale in cui preten­derebbe di esprimersi.
È la dimensione sociale.

4. Le responsabilità sociali dell'amore
Si potrebbe pensare che l'amore sia una realtà priva­tistica come poche altre, un fatto che riguarda solo i due interessati e la loro personale esistenza.
E molti oggi effettivamente lo pensano e vivono in questo modo, come un fatto esclusivamente privato, come un rapporto a due che esclude ogni ingerenza estranea.
C'è in questa forma di individualismo una specie di reazione al carattere collettivo di massa della nostra società e al controllo, a volte impalpabile ma estrema­mente efficace e minuzioso, che la società esercita su ogni aspetto della vita.
Ma è una reazione sbagliata.
Nulla di ciò che è umano può essere considerato co­me una realtà solo privata. Perché l'uomo è essenzial­mente sociale in tutto lo spessore della sua esistenza. Nulla di umano è così solo interno alla sfera individuale della persona da non avere anche una rilevanza sociale.
L'amore tende, se vuole essere autentico, a tradursi in uno stato stabile di vita, in una comunione visibile che ha uno statuto sociale, che tocca interessi sociali, che è riconosciuto, normato e tutelato dalla società.
In tutte le culture, anche in quelle che a volte con­sideriamo le più primitive, l'amore e il matrimonio che ne scaturiscono ricevono una concreta regolazione giu­ridica dall'istituzione sociale, comunque essa sia strut­turata.

5. Socialità e istituzione
Può sembrare strano che proprio oggi, mentre si cri­tica tanto il carattere individualistico e chiuso del mo­dello borghese di famiglia e si sperimentano forme di­verse di famiglia, più aperte alla comunità, più impe­gnate sul piano sociale, si respinga nello stesso tempo questa dimensione sociale dell'amore su cui si fonda l'illiceità morale dei rapporti prematrimoniali.
Il fatto non è però così contraddittorio come sembra. I giovani separano oggi volentieri il sociale dall'isti­tuzionale. Dimenticandosi dell'importanza perfino eccessiva che hanno attribuito in questi ultimi anni alle strutture, cioè all'istituzione in campo politico (riteneva­no che il cambio delle strutture avrebbe risolto miraco­listicamente tutti i guai della società), respingono oggi l'ingresso dell'istituzione nel campo dell'amore e ne difendono tenacemente il carattere esclusivamente pri­vato.
Questa esclusione suppone che l'amore sia solo un sentimento e non un impegno reciproco, socialmente rile­vante, e misconosce il valore dell'istituzione (cioè delle strutture e del diritto) nella vita sociale.
La vita sociale non si identifica con le strutture legali e con le istituzioni in cui si incarna; ha un'anima, fatta di cultura, di atteggiamenti interiori. Ma non può fare a meno di queste strutture e delle istituzioni.
E questo i giovani hanno bisogno di riscoprirlo.

6. Per il cristiano, il matrimonio è un sacramento
Ma bisogna aggiungere ancora una cosa: per il cri­stiano questa dimensione sociale dell'amore ha un signi­ficato particolare: il matrimonio per lui è sacramento, cioè evento di salvezza, incontro con Cristo, impegno nei confronti di Dio.
Ma questo si realizza solo se la vita coniugale è vis­suta « nel Signore », cioè solo se è riconosciuto come tale dalla comunità ecclesiale che è il sacramento viven­te di questo incontro con Dio.
Il patto coniugale celebrato in Chiesa è molto di più di una formalità giuridica o di un rito esteriore. È il ri­conoscimento dell'amore da parte della Chiesa che, fon­dando tra i due un vincolo in Cristo, trasforma il loro amore in una partecipazione all'amore di Cristo per la Chiesa (amore che lo ha portato a dare la vita per essa).
« Prima del matrimonio » per il cristiano non vuol dire prima di un rito esteriore, di una cerimonia super­flua, ma prima del sacramento, cioè al di fuori della Chiesa e quindi lontano da Cristo.

6. È PECCATO L'OMOSESSUALITA?
1. Essere omosessuali non è peccato
Un'altra contraddizione curiosa della nostra cultura è il comportamento della società nei confronti degli omo­sessuali. Quasi che la sola loro condizione fosse una ver­gogna colpevole, essi sono considerati e trattati dalla mag­gioranza dei « normali » come una specie di lebbra della società. Oggetto di disprezzo e di emarginazione, di ri­catti e di violenze, sono spesso costretti a una vita dispe­rata e infelice.
D'altra parte, proprio per liberarsi da questa condi­zione di condanna e di emarginazione sociale, essi si organizzano, si contano, difendono non solo il loro di­ritto ad un'esistenza dignitosa e umana ma giungono perfino a negare ogni carattere di negatività morale al loro comportamento e a considerare le loro tendenze sessuali come qualcosa di assolutamente normale. E na­turalmente trovano anche consensi. Molti finiscono col pensare che, anche se « diversa » e « parallela » rispet­to alle tendenze sessuali della maggioranza, la loro sessualità resta normale. Le pratiche omosessuali non sareb­bero in questi casi nient'altro che un parallelo perfetto delle pratiche sessuali normali.
Naturalmente, ancora una volta a essere contestato è - l'insegnamento morale della Chiesa, per il quale il com­portamento omosessuale è qualcosa di moralmente ne­gativo. Cosa dire in proposito?
Bisogna anzitutto riconoscere che non si può dire nulla, sul piano morale, della tendenza in quanto tale, cioè proprio di ciò che una opinione pubblica stupida e impietosa condanna in modo spesso poco serio perché male informata o del tutto disinformata sul problema. Avere delle tendenze omosessuali, essere omosessua­li, anche in modo esclusivo, non è di per sé un peccato ma una malattia che merita almeno pietà e comprensione alla pari di ogni altra malattia.
Ma bisogna subito aggiungere che l'omosessualità non può essere considerata come qualcosa di assoluta­mente normale, come una forma di sessualità soltanto « diversa » e parallela, presente magari allo stato di ten­denza repressa anche nelle persone più normali.
E questo non soltanto e non principalmente per la frequenza delle forme di nevrosi e perfino di perversio­ne da cui è spesso accompagnata.
La personalità omosessuale potrebbe essere anche normalissima su tutti gli altri piani della vita psichica: è il suo orientamento sessuale che è sbagliato.
E non tanto rispetto a quella che potrebbe essere una'« normalità statistica » (= la normalità della mag­gioranza), quanto rispetto a quella che è una « norma morale ».

2. Un rapporto che non è amore vero
L'amore è ancora una volta il metro di valutazione decisivo.
L'amore, quando utilizza la sessualità come suo lin­guaggio, deve accettare le sue leggi interne che sono fondate sul fatto che l'uomo e la donna si completano a vicenda e sulla natura, almeno potenzialmente aperta alla vita, dell'atto sessuale.
Questo non si verifica mai tra omosessuali. Anche quando la loro amicizia sembrasse possedere alcune delle caratteristiche dell'amore vero, (come ad esempio la sta­bilità, la fedeltà, il disinteresse, la capacità di donarsi), non si può mettere sullo stesso piano dell'autentico amo­re coniugale.
Ma sono proprio queste caratteristiche che general­mente mancano a queste amicizie.
La grande maggioranza degli omosessuali sono affetti­vamente immaturi; centrati su di sé, essi ricercano nel partner non un altro ma un'immagine di sé; non amano una persona, ma cercano uno strumento occasionale di piacere, una cosa da prendere e da usare.
L'incomunicabilità è quindi la regola nelle relazioni omosessuali. Per questo le loro amicizie sono quasi sem­pre prive di stabilità e difficilmente fedeli. Questo non significa però un giudizio negativo sul loro grado di colpevolezza soggettiva.
Il loro comportamento è troppo spesso condizionato da inclinazioni così forti che escludono spesso una vera e propria libertà. Più l'impulso sessuale è distorto, meno è facile resistergli.
Questo non significa neppure che non esiste per loro altra strada che quella di abbandonarsi ai loro impulsi. Anche se l'omosessualità, in quanto malattia, è diffi­cilmente guaribile, essi sono tenuti a fare quanto posso­no per ottenere tutto il miglioramento clinico e morale possibile.
La fedeltà e il disinteresse nelle loro amicizie rappre­sentano già un certo passo in avanti. In certi casi sono l'unico ideale positivo concretamente accessibile almeno hel tempo breve. Ma queste amicizie sono generalmente tanto meno fedeli e costruttive quanto più sono fondate su una attrattiva sessuale distorta.
All'omosessuale è chiesto quindi un continuo e diffi­cile sforzo di purificazione. E’ chiesto di orientare le pro­prie energie psichiche, spirituali e affettive verso campi diversi da quello della sessualità.
Non è detto che sia impossibile. La sessualità non è l'unica forma di amore, non è l'unica realtà della vita. Ci sono altri interessi e attività che possono ugual­mente riempirla.
Naturalmente occorre un grande coraggio e un gran­de spirito di sacrificio. Ma è un coraggio che premia. E’, per queste persone, l'unica via per la realizzazio­ne vera di sé.
Naturalmente se la comprensione per la loro infeli­cità e un atteggiamento pieno di misericordia sono di grande aiuto per queste persone, l'ostilità preconcetta, il disprezzo e la emarginazione le inchiodano al « giro » dei loro simili e spengono in loro ogni coraggio di lot­tare per la propria redenzione.
Questa comprensione naturalmente non deve spin­gersi fino a incoraggiare la propaganda del vizio o la corruzione dei minorenni.
La società ha il diritto di difendersi contro queste cose, pur con la consapevolezza che essa non è una so­cietà di santi, ed è a sua volta tutt'altro che esente da peccato.

3. Per concludere
Così come l'abbiamo presentata, la morale accompa­gna con le preoccupazioni di un educatore lo sviluppo psicosessuale e la crescita dell'amore fino al momento in cui essa culmina nel matrimonio e nella vita coniugale. E’ una morale educativa o anche una morale di ac­compagnamento.
Ma essa resta tale non solo nel periodo che prepara il matrimonio. L'amore ha sempre bisogno di crescere e di rinnovarsi, ha sempre bisogno di educare se stesso per essere più autentico, per resistere all'usura del quo­tidiano, per trovare sempre nuove forme di risposta ai problemi sempre nuovi che gli propone la vita.
Così anche la morale coniugale è fondata sulla cre­scita dell'amore e sulla fedeltà alle sue leggi interne. Ed è anch'essa una morale di accompagnamento. Perfino per coloro che scelgono, chiamati da Cristo, il celibato per il regno dei cieli, l'amore resta il valore che fonda e spiega tutta la vita.
In questo caso, naturalmente, non è più l'amore co­niugale, quello che si esprime nel linguaggio della sessua­lità. Ma resta sempre amore.
Anzi è chiamato a diventare ancora più amore, an­cora più aperto a ogni sofferenza e a ogni bisogno degli altri; totalmente disinteressato, pronto a dare senza aspettarsi niente in cambio, come dice il vangelo, aspet­tandosi le sue gioie solo dall'intimità con Di

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NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.