venerdì 28 gennaio 2011

Preghiera Davanti S. Bakhita


 Santa Giuseppina Bakhita
Sorella nostra, sorella del mondo intero
 Guida: Oggi siamo qui, davanti alle spoglie mortali di una grande santa, Giuseppina Bakhita. Ma pregare i santi non è mai soffermare il pensiero su di loro: i santi sono tali perché nella loro vita tutto rimanda al Signore, Colui che in loro e tramite loro ha compiuto meraviglie sulla terra degli uomini. Così è per Bakhita.
Allora ci rivolgiamo a Dio per lodarlo e ringraziarlo per tutto ciò che Egli opera attraverso i suoi figli, e, in particolare per 3 VIRTÙ che ha fatto risplendere magnificamente in questa nostra sorella santa: la MITEZZA, la FEDE, la BONTÀ.
 Canto: Grandi cose
 Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ha fatto germogliare fiori fra le rocce. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha riportati liberi alla nostra terra. Ed ora possiamo cantare, possiamo gridare l’amore che Dio ha versato su noi.
 Tu che sai strappare dalla morte
hai sollevato il nostro viso dalla polvere.
Tu che hai sentito il nostro pianto,
nel nostro cuore hai messo un seme di felicità!
 LA MITEZZA
 Una mattina mi viene aperto l’uscio pri­ma del consueto. Il padrone mi presenta a un mer­cante di schiavi che mi compera e mi unisce a degli altri suoi schiavi, erano: tre uomini, tre donne, fra cui una fanciulla di poco maggiore di me.
Tosto ci mettemmo in viaggio. Il vedere la campa­gna, il cielo, l’acqua, il poter respirare l’aria libe­ra, mi ridiede un po’ di vita, quantunque non sa­pessi dove andavo a finire.
Il viaggio durò otto giorni di seguito, sempre a pie­di: per boschi, per monti, per valli e deserti. Pas­sando per i paesi, la carovana si ingrossava sem­pre più, la quale era così disposta: prima gli uo­mini, poi le donne, (i primi) venivano legati al col­lo con grossa catena, serrata da lucchetti a chia­ve, in fila a due o a tre, guai se qualcuno si piega­va o si fermava: povero collo suo e quello del com­pagno! Si vedevano attorno al collo di ciascuno grosse e affondate piaghe che facevano pietà. Po­verini! Come fossero bestie da soma, ai più robusti legavano sulle spalle grossi fardelli che dovevano portare per miglia e miglia. Noi più piccole non avevamo la catena, camminavamo in ultima fila in mezzo ai padroni. Ci fermavamo solo qualche ora a riposare o a prendere cibo. Allora veniva tolta la catena dal collo e posta al piede a distan­za di un passo l’uno dall’altro, onde impedire la fuga. Questo si faceva anche a noi piccole, però di notte solo.
Finalmente sostammo al mercato degli schiavi. Fummo introdotti tutti in un camerone, in attesa del turno di vendita. I primi smerciati furono i più deboli e malaticci, per timore che peggiorando, ne andasse perduto il guadagno.
Mentre andava avanti la scelta, l’intesa e la ven­dita di ciascuno, noi due più piccole, trovandoci sempre vicine, perché legate ai piedi dalla stessa catena, nei momenti in cui non eravamo osservate, ci raccontavamo l’un l’altra come eravamo state rubate. Parlavamo dei nostri cari e sempre più si accendeva in noi il desiderio di ritornare in fami­glia. Mentre si piangeva sulla nostra infelice sor­te, si andava progettando qualche piano di fuga. Il buon Dio che vegliava su di noi, senza che pur lo conoscessimo, ce ne offerse l’occasione.
(a questo punto Bakhita racconta del suo tentativo di fuga assieme alla compagna di sventura, finito con il ritrovamento da parte di altri negrieri)
L'uomo che ci aveva trovate ci condusse nella sua casa, ci diede da mangiare e da ere e poi ci introdusse in un ovile pieno di pecore di agnelli; poi legandoci assieme per il piede con una grossa catena, ci comandò di sta­re in quell’ovile fino ad altro avviso.
Quanto piangere! Quanto soffrire!
Ci lasciò là, tra pecore e montoni per più giorni, finché passando di là un mercante di schiavi, ci trasse dall’ovile e ci vendette a quell’uomo.
Camminammo a lungo prima di raggiungere la ca­rovana.
Quale non fu la nostra sorpresa nel vedere tra gli schiavi alcuni di quelli che appartenevano al pa­drone dal quale noi eravamo fuggite. Ci descrisse­ro l’ira, il furore suo quando non ci trovò (al lavo­ro), dando nelle smanie minacciava di farci a pezzi quando ci avesse trovate. “Ora sempre più cono­sco la bontà del Signore che mi salvò anche allora quasi miracolosamente”.
(dal racconto di S. Giuseppina Bakhita)
Bakhita è stata veramente un riflesso della mitezza di Gesù, Colui che "maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca" (Is 53,7). Lasciamoci guidare da lei nel metter in pratica l'insegnamento del Vangelo: “Imparate da Me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,28).
Ripetiamo: Gesù, mite ed umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al Tuo.
Salmo 131
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore,
non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi, superiri all mei forze.
Io sono tranquillo e sereno
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l'anima mia.
Gloria al Padre…
 Ripetiamo: Gesù, mite ed umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al Tuo.
 LA FEDE
Bakhita ricordava con commozione il giorno del suo Battesimo. Quando aveva occasione di rivedere la Chiesa del Catecumenato, si inginoc­chiava davanti al fonte battesimale dicendo: “Qui, proprio qui, sono diventata figlia di Dio... Qui mi hanno versato l’acqua che mi ha aperto il Paradi­so” e baciava la terra.
La sua fede era profonda.
Aveva una devozione particolare per l’Eucaristia: uno dei cappellani era solito chiamarla il “mosco­ne di Gesù” alludendo alla sua presenza nera e si­lenziosa sempre intorno al tabernacolo.
Quando ormai malata chiedeva di essere condotta a fare una visita in chiesa, succedeva a volte che, per dimenticanza, vi rimanesse alcune ore. Alle scuse dell’infermiera rispondeva con candore: “Mi ha fatto un regalo, perché ho tenuto compagnia a Gesù!”.
Se, infine, la malattia non le permetteva di parteci­pare alla Messa diceva con serenità alle sorelle: “L’ho sempre con me il Signore: se viene, bene, se no, l’ho dentro di me e lo adoro!”.
Oppure: “Pazienza, mando il mio angelo custode per me, perché poi mi riferisca!”.
Ogni suo gesto, piccolo o grande, era per far con­tento “el Paron” (così chiamava Dio Padre).
Durante una visita del Vescovo al convento, Madre Bakhita, ormai costretta in carrozzella, a una do­manda del Prelato che le chiedeva quello che stava facendo, candidamente rispose: “Quello che sta fa­cendo lei: la volontà di Dio!”.
La fede di Madre Bakhita usciva dal convento e rassicurava gli abitanti di Schio durante la paura dei bombardamenti.
Lasciateli scoppiettare, diceva bonariamente, el Paron comanda lui!”.
La gente fiduciosa diceva: “Non temiamo, abbiamo con noi la Madre moretta: è una santa, ci salverà dai pericoli!”.
Guida: Leggiamo, una per ciascuno, delle frasi di S. Bakhita:
“Se stessi in ginocchio tutta la vita, non dirò mai abbastanza tutta la mi gratitudine al buon Dio”
“Tutta la mia vita è stata un dono di Dio: gli uomini suoi strumenti; grazie a loro, per avermi procurato il dono della fede.”
“Fortunati voi che siete nati in un Paese cattolico. Io ci sono arrivata tardi. Siatene riconoscenti a Dio e alla Madonna.”
“Facciamo tutto per far contento el Paròn.”
“Le cose di questo mondo sono niente, è terra; ciò che preme a noi sono le cose dell'alto: è il Padrone.”
“Io dò tutto al Padrone, Lui penserà a me: ne è obbligato.”
“Nella volontà di Dio è grande pace.”
“Quando una persona ama tanto un'altra, desidera ardentemente andarle vicino: dunque, perché avere tanto paura della morte? La morte ci porta a Dio.”
 Ripetiamo: Gesù, Figlio di Dio, aumenta in noi la fede!
LA BONTÀ
 Madre Bakhita non si lamentava mai, né notava i difetti degli altri. Quando in una Sorella qualche mancanza era evidente, la scusava dicen­do: “Si sarà dimenticata... non si sarà accorta... sarà stato per un impulso di natura”.
Per amore di pace, a volte, accettava anche rim­proveri non meritati.
Ma soprattutto era rappacificata con la sua storia: pregava per i suoi persecutori in Africa e non ebbe mai per loro parole di risentimento: “Poveretti, non sapevano il male che facevano”. E ancora: “Non erano cattivi, poveretti, non conoscevano il buon Dio, o forse non sapevano di farmi tanto male: loro erano i padroni, io ero la loro schiava. Come noi siamo abituati a fare il bene, così i negrieri facevano questo, perché era loro abitudine, non per cattiveria.
Durante un giro missionario, ad una studente di Bologna che le chiedeva cosa avrebbe fatto, se avesse incontrato quei negrieri che l’avevano rapi­ta e trattata tanto barbaramente, rispose con pron­tezza: “Mi inginocchierei a baciare le loro mani, perché se ciò non fosse accaduto, io non sarei ora cristiana e religiosa”.
Guida: In Bakhita la bontà, testimoniata abbondantemente da quanti la conobbero, si è concretizzata così:
·  ha saputo dimenticare se stessa per pensare agli altri;
·  ha saputo perdonare, pensando che la miseria umana è più grande della cattiveria;
·  ha saputo dare senza alcuna pretesa di ricerca del propiro tornaconto;
·  ha saputo sacrificarsi aggiungendo alle sue pene il peso delle pene altrui;
·  ha saputo riconoscere con semplicità che davvero buono è Dio solo.
 Così poteva cantare con gioia:
 Ant. Gustate e vedete quanto è buono il Signore (Salmo 34)

Benedirò il Signore in ogni tempo,
     sulla mia bocca sempre la sua lode.
     Io mi glorio nel Signore,
     ascoltino gli umili e si rallegrino.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
     Guardate a Lui e sarete raggianti,
     non saranno confusi i vostri volti.
     Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
     lo libera da tutte le sue angosce.
Gloria al Padre…
Ant. Gustate e vedete quanto è buono il Signore.
Padre nostro…
Guida: Concludiamo affidandoci all'intercessione di Santa Bakhita:
O Dio, Padre di misericordia,
che ci hai donato Santa Giuseppina Bakhita,
quale sorella universale,
evangelico modello di fede semplice
e di operosa carità,
dona anche a noi la volontà
di credere ed amare secondo il Vangelo,
ed esaudisci le preghiere di chiunque invoca la sua intercessione.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 Canto: Camminiamo sulla strada
 Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi:
tutti ci ritroveremo dove eterno splende il sol.
 E quando in ciel dei santi tuoi la grande schiera arriverà, o Signor, come vorrei che ci fosse un posto per me. E quando il sol si spegnerà, e quando il sol si spegnerà, o Signor, come vorrei che ci fisse un posto per me.
 C’è chi dice che la vita sia tristezza e sia dolor,
ma io so che viene il giorno in cui tutto cambierà.
E quando in ciel risuonerà la tromba che ci chiamerà, o Signor, come vorrei che ci fosse un posto per me. Il giorno che la terra e il ciel a nuova vita risorgeran, o Signor, come vorrei che ci fosse un posto anche per me.

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NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.