sabato 21 dicembre 2013

Maria Vergine: Icona della fede obbediente



Nel cammino dell’Avvento, la Vergine Maria occupa un posto particolare come Colei che in modo unico
ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di
Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria
a partire dal grande mistero dell’Annunciazione.
“Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou”, “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1, 28).
Sono queste le parole - riportate dall’evangelista Luca - con cui l’Arcangelo Gabriele si rivolge a Maria.
A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma
questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo.
Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre
come annuncio di gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3, 14; Gl 2, 21; Zc 9, 9; Lam 4, 21). Il saluto
dell’Angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza
che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male
che sembra oscurare la luce della bontà divina. È un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona
Novella.
Ma perché Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del
saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso dell’espressione dobbiamo
rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia troviamo questa espressione “Rallégrati, figlia di
Sion, …Re d’Israele è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore
potente» (3, 14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: Dio
verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion.
Nel dialogo tra l’Angelo e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il
popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta
definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio vivente.
Nel saluto dell’Angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in greco il termine “grazia”, charis, ha la
stessa radice linguistica della parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la
sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio,
dall’avere una connessione così vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente
plasmata dall’azione di Dio. Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore,
si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione con il Signore; è in
atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una
storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si
sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede.
L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo con la vicenda di Abramo.
Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra
in cui viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo
nella promessa divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di
Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti.
Vorrei sottolineare un altro aspetto importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede
include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza
tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza
di Dio: “Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!” (Rm 11, 33). Ma proprio colui
che - come Maria - è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è
misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come
profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr
Lc 2, 35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma
anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale:
Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: “Non
stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo
figlio, il tuo unigenito” (Gen 22, 12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene
meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per
Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione
del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione. Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno di noi: incontriamo momenti di luce, ma
incontriamo anche passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua
volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio,
accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia - come Abramo e come Maria -
tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella
certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti,
perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’infanzia di Gesù narrati da San
Luca. Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al
Signore come prescrive la legge di Mosé: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” (cfr Lc 2,
22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce
della scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a
discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e Giuseppe: “Figlio, perché ci hai
fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”, corrisponde la misteriosa risposta di Gesù:
“Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?” (Lc 2, 48-49). Cioè nella
proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con
cui ha detto “sì” nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di
Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il “sì” di
Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più
difficile, quello della Croce.
Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio
con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un
atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione
Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo - è il timore che l’uomo prova quando viene toccato
dalla vicinanza di Dio -, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere.
Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1, 29). Il termine greco usato nel Vangelo
per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa
che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera
superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò
che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di
fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù,
dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo
cuore” (Lc 2, 19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva
insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento,
ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto
proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che
avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li
discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. È l’umiltà profonda della fede
obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia
Dio ad aprirle la mente e il cuore. “Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore”
(Lc 1, 45), esclama la parente Elisabetta. È proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno
beata.

Benedetto XVI, Udienza Generale, mercoledì, 19 dicembre 2012

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NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.