martedì 20 settembre 2011

GUARIRE PER MEZZO DELL'AMORE ONESTO




(Tarcisio Mezzetti)
 
Quando abbiamo un messaggio un po’ duro da riferire a qualcuno può essere veramente difficile parlargli onestamente eppure parlargli con amore.
E’ un problema che si evidenzia dovunque: in una comunità religiosa, in famiglia, tra amici, in una comunità, nel gruppo di preghiera. Ovunque vi sia una certa vicinanza ed occorra parlare con onestà ma allo stesso tempo con amore, scopriamo che ci vuole una certa dose di coraggio per mettere insieme le due cose.
Per questo spesso si tace, ci si arrabbia di più e poi occorre perdonare di più.
Spesso gli psicanalisti insegnano che dobbiamo sentirci liberi di dire tutto quello che ci passa per la testa a tutti quelli che ci circondano. Facendo così, però, si finirà per inimicarci tutti costoro e nessuno ci sopporterà più.
Questo modo di comportarci irriterà facilmente tutti quanti, non è corretto da parte nostra comportarci così, e la ragione per cui lo facciamo è che non li amiamo.
Quando ci capita di riuscire ad essere così onesti da dire ciò che pensiamo, ma nell’amore, si verificano due cose:
  1. noi e chi ci sta di fronte, ci vogliamo veramente bene
  2. ciò che ci ha aiutato ad essere così onesti con lui è che sicuramente questa persona ha aiutato noi in qualche nostra difficoltà
Possiamo avere confronti onesti con una persona qualsiasi, quando noi siamo morti a noi stessi; e la chiave per riuscire a morire a noi stessi è di imparare a riconoscere quanto in realtà noi siamo simili all’altra persona che dobbiamo perdonare.
Quindi più odierò il peccato ed amerò il peccatore in me stesso e negli altri, più sarò pronto a fare il confronto.
I cinque stadi del perdono ci aiutano a raggiungere il punto dove noi riconosciamo le nostre debolezze, e siamo quindi pronti a confrontarci con un’altra persona con amore onesto.
I cinque stadi del perdono ci aiutano a confrontarci con amore onesto, a coloro con cui è necessario farlo.
Nella parabola del figliol prodigo il padre attraversa i cinque stadi del perdono, prima di potersi confrontare con il figlio maggiore.
Osservate cosa Gesù ci ha insegnato con questa parabola.
All’inizio della storia il più giovane dei figli va dal padre e gli chiede la propria parte di eredità. Immaginate la ferita del padre: in tutta la tradizione del medio oriente non c’è mai stata una storia in cui un figlio chiede al padre l’eredità mentre il padre è ancora in vita.
Questa richiesta è una ferita profondissima per il padre perché nella cultura del medio oriente
il figlio lo tratta come se il padre fosse già morto, in pratica come se il figlio avesse ucciso il padre.
Questo tipo di richieste si possono fare tuttalpiù al padre su letto di morte, ma non si osa spendere il denaro finché il padre sia morto; la richiesta equivale ad uccidere il padre.
Tuttavia il padre non affronta la situazione, semplicemente consegna il denaro al figlio.
Questo è lo stadio della NEGAZIONE. Non c’è discussione, il padre vuole la pace a qualsiasi costo e agisce come se nulla fosse accaduto.
Davanti ad una ferita così grande il padre fa finta di non aver nemmeno sofferto.
La negazione è la più difficile delle fasi da affrontare perché si dice che non esiste ferita e quindi non ci può essere nemmeno la guarigione.
Non è possibile quindi nemmeno essere onesti con chi ci ferisce.
Ben differente sarà il comportamento del padre alla fine della parabola, quando dovrà affrontare il figlio maggiore.
Alla fine il padre è pronto al confronto, passato quindi dalla NEGAZIONE agli altri quattro stadi del perdono fino a raggiungere l’accettazione.
Nel secondo stadio che il padre attraversa, deve affrontare la RABBIA per la delusione che il figlio amato se ne sia andato.
Affrontare la rabbia per il padre avviene naturalmente in vari modi. Se qualcuno ci lascia noi siamo delusi e arrabbiati insieme.
Possiamo essere arrabbiati soltanto nella misura in cui amiamo: se non amiamo non siamo né delusi né arrabbiati, non ci importa niente.
Ma la rabbia del padre è diversa da quella del figlio maggiore: anche l’altro fratello è arrabbiato, ma la rabbia lo spinge a ripiegarsi su se stesso e a rifiutare di parlare con il fratello più giovane. La rabbia si è cambiata in ostilità. S. Paolo scriva agli Efesini: " arrabbiatevi ma nell’ira non peccate". La rabbia è una reazione normale. La nostra cultura che nega l’uomo ci dice che la rabbia è male. Ci vieta di piangere in pubblico mentre invece ci permette di ridere, anche se sono entrambi sentimenti.
S. Palo ci dice " piangete con chi piange.."
Dobbiamo riscoprire la libertà di essere cristiani cioè di essere uomini interi.
Gesù davanti alla tomba di Lazzaro non si è vergognato di piangere. Idem su Gerusalemme.
Dobbiamo capire che i sentimenti vanno guidati e indirizzati alla luce del vangelo e sotto l’amore di Dio perché questi sentimenti non sono nostri nemici, sono espressioni normali dell’uomo che Dio ha voluto esistessero.
Il padre invece lavora con la sua rabbia e la trasforma in una forza creativa che lo spinge a cambiare, usa l’energia della sua rabbia per sviluppare i doni, la capacità di comunicare di cui ha bisogno per rimediare alla situazione che si è creata.
La rabbia può essere una forza creativa che può aiutarci a cambiare.
per esempio, un ragazzo che si droga, per rabbia può smettere di farlo; come un peccatore, per una santa rabbia, decide di troncare una relazione peccaminosa.
Quando il padre si reca dal figlio maggiore è anche lui arrabbiato per la potenziale perdita di un membro della famiglia ma ha anche visto il bene che è nato quando ha potuto comunicare con il figliol prodigo. E’ così ora disposto ad iniziare l’intero processo di comunicazione con il figlio maggiore.
Quando il padre va da lui ha già superato lo stadio della contrattazione. Non cerca compromessi e dice al figlio: "tutto quello che possiedo è tuo…" aggiunge inoltre: "io starò con te e sarò fedele verso di te sia che tu cambi o che tu non cambi".
Noi possiamo confrontarci con qualcuno se siamo disposti ad amare incondizionatamente, se siamo disposti a dire: "se tu cambi o no, se tu chiedi scusa o no, se dici di essere dispiaciuto o no, io in ogni caso sarò fedele a te". Come fa Dio con noi.
Se noi non siamo fedeli, Lui rimane fedele perché non può rinnegare se stesso.
Se non potete dire così a qualcuno, allora dimenticate di confrontarvi con lui se il vostro confronto non sarà fatto con amore.
Il quarto stadio nel quale si muove il padre è quello della depressione, quando il figlio torna a casa il padre gli va incontro, gli si getta al collo.
In medio oriente questo è un gesto di riconciliazione ed avviene dopo che due persone hanno litigato in pubblico. E’ il gesto che bisogna fare, significa: "abbiamo sbagliato tutti e due, abbiamo tutti e due un problema di comunicazione".
Noi possiamo confrontarci con gli altri con amore onesto solo quando sappiamo che siamo come loro.
Solo quando il padre ha superato i quattro stadi del perdono per entrare nell’accettazione, è pronto a confrontarsi col figlio maggiore.
Il padre compie due cose importanti quando, in questo stadio, si confronta col figlio maggiore:
  1. cerca di capire il figlio maggiore in tutto il suo dolore
  2. gli dice che lo ama incondizionatamente, tutto ciò che è mio è tuo. Nel dire questo gli ricorda che appartiene alla famiglia e gli dimostra di voler fare tutto il possibile perché questo legame sia rafforzato sempre di più. Il figlio maggiore lo affronta senza alcun rispetto. Gli dice: " questo TUO figlio.. tu non mi hai dato.." non dice:" Padre, Abbà" non nomina nemmeno questa parola, è pieno di rabbia e di rancore. Ma il padre è così guarito che non dice: " tu invece hai fatto così…" ma gli dice: "figlio, tu sei sempre con me.." questa è la differenza dovuta alla guarigione del padre e dalla non guarigione del figlio. Quando ci confrontiamo con qualcuno non è la corposità dell’amore che risolve ma la quantità di onestà e la disponibilità a fare tutto il possibile per aiutarlo.
Il padre celebra il ritorno del figliol prodigo con un banchetto e lo fa anche se il figlio maggiore non è presente. Quante volte anche nei nostri gruppi accade che qualcuno non fa il cammino dicendo: " finché non viene anche mio marito non inizio…" Ma Gesù non fa così, chiama qualcuno e dice "seguimi" "lascia che i morti seppelliscano…" " non c’è nessuno che mette mano all’aratro e si volta indietro..".
E’ mancanza di fede in Dio perché se io mi fido di Lui inizio da solo e poi sarà Lui che farà sì che mio marito si avvicini dopo; la chiamata nostra è personale e Gesù sa tutto quello che c’è dietro la mia chiamata.
Il padre quindi si comporta in una maniera esemplare: è tornato il figlio e lui fa il banchetto e non si fa turbare dal figlio maggiore il quale torna a casa che il banchetto è già in atto.
Il padre lo sa che il maggiore si sarebbe arrabbiato per la festa, ma la fa lo stesso. Mica dice: " appena tuo fratello si sarà calmato, quando tutta la famiglia sarà tranquilla, magari fra una settimana faremo festa".
La parte più importante nel confrontarci con gli altri è che noi non siamo dipendenti dal loro cambiamento e che riusciamo a far festa e a ricevere vita di cui abbiamo bisogno sia che loro cambino sia che loro non cambino.
La nostra capacità di fare festa è un atto di fede in Dio sapendo che Lui è il Salvatore, è Lui che cambia i cuori non noi. Tutto ciò che possiamo fare noi per gli altri è di dare loro il nostro amore con onestà e senza condizioni. Può darsi che loro non cambino mai eppure noi siamo chiamati a dare loro il nostro amore senza condizioni, tutto il resto è nelle mani di Dio.
Questo comportamento porta la festa e la gioia nel nostro cuore, quando ci rendiamo conto che Dio è il Salvatore e non noi. Allora noi possiamo amare ed agire con tranquillità ed essere guariti.
Come dobbiamo amare gli altri con amore onesto e senza condizioni così nello stesso modo dobbiamo amare le parti di noi stessi con lo stesso amore onesto.
Spesso noi trattiamo una parte di noi come il fratello maggiore trattava il prodigo, noi diciamo a noi stressi : " vattene rabbia" reprimiamo la rabbia, "vattene via senso perché mi fai sentire sporco e mi hai distrutto la vita". E’ stato creato anche lui da Dio, siamo noi che lo usiamo male.
Noi non accettiamo qualcosa di noi stessi, proprio come il fratello maggiore non accettava il fratello minore; di certe parti della nostra vita noi non ne vogliamo neanche parlare. "Vattene, torna alle tue prostitute e ai tuoi maiali.." così diceva il fratello maggiore al minore .
Noi tendiamo a sostituire quelle parti in noi che sono scomode. Il Signore vuole che accogliamo tutto quello che sentiamo e anche l’energia che sta dietro quel sentire.
Prima di convertirsi S.Paolo era arrabbiato ed usava la sua energia per perseguitare i cristiani.
Dopo la sua conversione Gesù non gli ha tolto la rabbia ma piuttosto lo ha aiutato ad usare l’energia che stava dietro la rabbia per diffondere il vangelo nel mondo.
S.Paolo fremeva per vedere le città piene di idoli e diventava zelante nell’annunciare il vangelo.
In Romani dice: " abbiate zelo..", in Efesini 6 dice " i calzari dello zelo per annunciare la parola del Signore". Qui lo zelo è una rabbia indirizzata a fin di bene, ma è sempre una rabbia.
Il problema non è: non avere la rabbia, ma come usare l’energia che sta dietro la rabbia.
Quando noi condividiamo i nostri sentimenti con Gesù, Lui non ce li toglie ma userà la loro energia per aiutarci ad amare di più Lui e gli altri.
C’è un modo di coesistere con ognuno dei nostri sentimenti e lasciare che il Signore parli attraverso questi. Scopriamo così che qualsiasi sia il mio sentire io posso diventare amico di ciò che sento, condividendolo con il Signore e chiedendogli di regalarmi ciò di cui ha bisogno il mio sentire per dare e ricevere il suo amore incondizionato.
Un bambino che impara a camminare è un’immagine di come, in noi e negli altri, avviene più facilmente un cambiamento attraverso l’amore senza condizioni.
Una madre che ama non prende il suo bambino a calci nel sedere finché questi non comincia a drizzarsi in piedi e camminare ma prima AMA il bambino, indipendentemente da quello che il bambino fa.
Quando poi il bambino sarà cresciuto tanto da tentare di camminare, la prima cosa che fa la mamma è di guardarlo fisso negli occhi mentre lui tenta il primo passo.
E’ la quantità di amore che il bambino sente, che gli dà la sicurezza e il coraggio di fare quella per lui stranissima esperienza di camminare su due piedi.
L’amore onesto deve essere grande come quello di questa madre cosicché chiunque possa fare il primo passo guardando dentro i nostri occhi che lo amano.
Preghiera finale:
"Signore, aiutaci ad amare la persona che noi vogliamo cambiare. Amen"


innamorati della lode

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NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.