venerdì 28 dicembre 2012

PAPA'


Papà ti dedico questo pensiero che parte dal cuore,Eri in questi ultimi mesi il mio bambino e non più mio padre ,vedevo il tuo chiedermi aiuto ,il tuo voler pregare,volevi e cercavi la mia vicinanza ,la mia stretta di mano.Sono stati mesi sofferti ,ma ringrazio Dio per essermi potuta prendere cura di te in questi anni, volevi vivere, la vita per te aveva un valore inestimabile,io avrei fatto di tutto per per accontentarti ,ho pregato tanto e interceduto per te, ti sei ripreso dopo che il respiro ti aveva abbandonato,hai vissuto pienamente fino al giorno di Natale ,poi il Bambino Gesù è venuto  a prenderti ti ha strappato da me è stato doloroso
ma il mio cuore si è riempito di pace di amore,di certezza che tu eri volato in cielo,la tua ultima parola è stata Gesù aiutami e Lui ti ha preso per mano e ti ha condotto nel suo Regno.Mi manchi papà mi manca la tua voce ,il tuo fischio di aiuto,ora la mi casa è vuota,anche se il mio cuore è in pace,( TI PORTERO' SEMPRE NEL CUORE,LA MIA PREGHIERA NON TI ABBANDONERA' MAI,MI HAI DATO VITA IO TI HO DATO LA MIA PER SEMPRE IN ETERNO,TI AMO )
Salutami mamma e vi auguro di cuore ,che le vostre anime ora siano strette entrambe nel cuore di Dio,che la vostra gioia sia piena e che il dolore sofferto in terra da entrambi venga trasformato da Dio in un canto di lode a Lui.Statemi vicino che io possa sentire nella carezza del vento la vostra mano che mi benedice e accarezza.Nel calore del sole il vostro abbraccio,vi ho amato tanto ,bastava vedervi sorridere e io ero al colmo della felicità e non chiedevo nulla alla vita,
se non questo ,la vostra gioia,poi sono venute le sofferenze ,malattie,il male ci ha vagliati,accerchiati ,perseguitati,è stata dura la prova della fede.
A volte sembrava avremmo ceduto ,ma alla fine ha vinto il Signore per noi, il suo Sangue ci ha salvati ,redenti,che gioia.
Vivrò in pienezza,nella fede in Dio e aspetterò con impazienza quel giorno della mia morte,per potervi riabbracciare e vivere in eterno in Dio.
Vi voglio ricordare così io bambina e voi giovani e sereni,come credo ora siate..............VI AMO
Rosanna



martedì 4 dicembre 2012

La notte Santa


 - Guido Gozzano

- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scocca
lentamente le sei.

- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scocca
lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.

Il campanile scocca
lentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.

Il campanile scocca
lentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scocca
lentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.

Il campanile scocca
le undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.

È nato!
Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.

È nato!
Alleluja! Alleluja!


lunedì 3 dicembre 2012

Visione della natività


Si riporta la visione della natività di Gesù avuta dalla veggente Jelena Vasilj con le stesse parole con le quali ella l’ha poi riferita, n.d.r.)



(Messaggio del 22 dicembre 1984 al gruppo di preghiera di Jelena) 
“Pochi giorni prima di Natale al cinema di Citluk davano un film in cui tra l’altro veniva presentata la nascita di Gesù. Il film cominciava alle ore 19. Marijana ed io ogni sera andavamo a messa e poi ci fermavamo in chiesa per le altre preghiere e per il rosario. Io desidero tanto andare al cinema, ma il mio papà mi ricordò che avevo promesso alla Madonna di partecipare ogni sera alla messa e che quindi non potevo andare al cinema. Questo mi rese molto triste. Allora mi apparve la Madonna e mi disse: “Non essere triste! A Natale ti mostrerò io com’è nato Gesù”. Ed ecco come il giorno di Natale, secondo la promessa della Madonna, ho avuto la visione della natività di Gesù. All’inizio vedo un angelo che subito dopo scompare e tutto diventa buio. Il buio a poco a poco diventa un cielo stellato. All’orizzonte vedo qualcuno che si avvicina. E’ San Giuseppe con un bastone in mano. Cammina su una strada sassosa in fondo alla quale vi sono delle casette illuminate. Al suo fianco, su di un mulo, vedo la Madonna molto triste. Dice a Giuseppe: “Sono molto stanca. Vorrei tanto che qualcuno ci ospitasse per la notte”. E Giuseppe: “Ecco le case. Chiederemo lì”. Giunti presso la prima casa, Giuseppe bussa. Qualcuno apre, ma appena vede Giuseppe e Maria richiude subito la porta. Questa scena si ripete diverse volte. In qualche caso, anzi, le luci all’interno delle case si spengono mentre Giuseppe e Maria stanno per avvicinarsi per spingerli a non bussare. Tutti e due sono molto tristi, e in particolare Giuseppe è molto addolorato, confuso e turbato per tutti questi rifiuti. Maria, pur triste, lo incoraggia: “Sii in pace, Giuseppe! Il giorno della gioia è arrivato! Adesso però desidero pregare con te perché c’è tanta gente che non permette a Gesù di nascere”. Dopo aver pregato, Maria dice: “Giuseppe, guarda: laggiù c’è una vecchia stalla. Di certo non ci dorme nessuno. Sarà sicuramente abbandonata”. E così vanno là. Dentro c’è un mulo. Mettono anche il loro davanti alla mangiatoia. Giuseppe raccoglie un po’ di legna per accendere un fuoco. Ci mette anche un po’ di paglia, ma il fuoco si spegne subito perché la legna e la paglia sono molto umidi. Maria intanto cerca di scaldarsi vicino ai muli. Successivamente, mi si presenta una seconda scena. La stalla, fino ad allora poco illuminata, d’un tratto si illumina a giorno. All’improvviso vicino a Maria vedo il Bambino Gesù, appena nato, che muove le manine e i piedini. Ha un viso dolcissimo: sembra che già sorrida. Il cielo intanto si riempie di stelle molte luminose. Sopra la stalla vedo due angeli che hanno in mano qualcosa come una grande bandiera sulla quale c’è scritto: Ti glorifichiamo, o Signore! Al di sopra di questi due angeli c’è una schiera enorme di altri angeli che cantano e glorificano Dio. Poi, un po’ distante dalla stalla, vedo un gruppo di pastori che custodiscono i loro greggi. Sono stanchi ed alcuni dormono già. Ed ecco che un angelo si avvicina loro e dice: “Pastori, udite la buona novella: oggi Dio è nato in mezzo a voi! Lo troverete adagiato nella mangiatoia di quella stalla. Sappiate che ciò che vi dico è vero”. Subito i pastori si avviano verso la stalla e, trovato Gesù, si inginocchiano e gli offrono semplici doni. Maria li ringrazia con dolcezza e aggiunge: “Vi ringrazio di tutto, ma adesso vorrei pregare insieme a voi perché molti non vogliono accogliere Gesù che nasce”. Dopo di ciò, davanti ai miei occhi scompare improvvisamente questa seconda scena e ne appare una terza. Vedo a Gerusalemme i Magi che chiedono di Gesù ma nessuno sa dare loro informazioni finchè non vedono spuntare di nuovo la stella cometa che li guida fino alla stalla di Betlemme. Estasiati e commossi, i magi guardano il Bambino Gesù, si inchinano fino a terra per adorarlo profondamente e poi gli offrono doni preziosi. Maria li ringrazia e poi dice loro: “Adesso desidero pregare con voi perché tanti uomini non vogliono adorare Gesù”. 

NATALE



(Letture, meditazioni, preghiere)

Natale, giorno «unico»
DIO, L'ETERNO, ENTRA NEL TEMPO
Viviamo nel tempo. I nostri giorni passano uno dopo l'altro sempre uguali. Ma c'è un giorno «diverso», un giorno «unico», centro di tutti i giorni, in cui l'Eterno è entrato nel tempo. Un giorno che ha diviso in due i giorni dell'uomo: i giorni dell'attesa di Dio salvatore e i giorni della sua presenza in mezzo a noi. È il giorno di Natale. Da quando Gesù è nato a Betlemme l'uomo non è più solo in questo mondo, abbandonato a se stesso, senza meta, senza speranza nella sua ricerca di vita, di unità, di riconciliazione e di comunione. In mezzo agli uomini c'è lui, Gesù, il Dio con noi, il nostro Salvatore, il nostro Liberatore.
1. Tu sei venuto per noi, Gesù.
Signore Gesù, tu sei nato per noi, ti sei fatto bambino per noi, sei venuto per noi. La tua venuta è per noi necessaria, o Salvatore nostro: è necessaria la tua presenza. Vieni nella tua immensa bontà, abita in noi per la fede e illumina la nostra cecità. Rimani con noi e difendi la nostra fragilità. Se tu sei con noi chi ci potrà ingannare? Se tu sei con noi che cosa non potremo in te che ci dai forza? Se tu sei per noi, chi sarà contro di noi? Tu sei venuto al mondo, Gesù, per abitare in noi, con noi e per noi, per schierarti dalla nostra parte, per essere il nostro Salvatore. Grazie, Signore Gesù.
                                                 San Bernardo (1090-1153)

Natale, la verità del nome
GLI FU MESSO NOME GESÙ
È nato per noi un bambino. Il suo nome è Gesù. Il suo nome è «Dio salva». Il suo nome è Salvatore. Il nome è l'identità. Il nome è la missione. Il nome è un impegno. Gesù ha realizzato pienamente il       suo nome: è stato il nostro Salvatore. Chiamare per nome Gesù è riconoscerlo come «l'unico» che può donarci la salvezza. Non una salvezza momentanea e parziale, ma la salvezza totale, definitiva, eterna. Portare il nome di Cristo, chiamarsi «cristiani», è un dono e un impegno. E impegnarsi a vivere come lui, ad essere come lui e con lui salvatori e liberatori dell'uomo. A essere un suo segno vivente nel mondo
2. Ti voglio adorare, Gesù, mio Salvatore
Gesù, dolce Bambino, tu sei ricco di amore e santità. Tu vedi le mie necessità. Tu sei fiamma di carità: purifica il mio cuore da tutto ciò che non è conforme al tuo cuore santissimo. Tu sei la santità increata: ricolmami di grazie fecondatrici di progresso vero nello spirito. Vieni Gesù, ho tante cose da dirti, tante pene da confidarti, tanti desideri, tante promesse, tante speranze. Ti voglio adorare, ti voglio baciare in fronte, o piccolo Gesù, mio Salvatore. Voglio darmi a te per sempre. Vieni, o Gesù, non tardare oltre. Accetta il mio invito. Vieni!
                                      Papa Giovanni XXIII (1881-1963)

Natale, le scelte di Dio
LA POVERTÀ, LA MITEZZA, L'AMORE
Siamo cercatori appassionati di felicità. Andiamo a Betlemme se vogliamo trovarla.  A Betlemme in una grotta risplendono le scelte di Dio venuto nel mondo: la povertà, la mitezza, l'amore. Se avremo il coraggio di farle nostre camminando nell'amore incontreremo la gioia. Non la troveremo nella ricchezza, nel piacere, nel successo, nel potere. A Betlemme approda il nostro cuore pellegrino, in cerca di Dio, in cerca di gioia, in cerca di pace. E da Betlemme riparte per portare a tutti la lieta notizia di aver incontrato Dio in un Bambino di nome Gesù.
3. Da  ricco che eri, Signore Gesù
Signore Gesù, da grande e ricco che eri, ti sei fatto piccolo e povero. Tu hai scelto di nascere fuori di casa in una stalla, di essere fasciato in poveri panni, di essere deposto in una mangiatoia tra un bue e un asinello. Abbraccia, anima mia, quel divino presepio, premi le labbra sui piedini di Gesù. Baciali tutti e due. Medita le veglie dei pastori, contempla il coro degli Angeli e canta insieme a loro con la bocca e con il cuore: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
                                           San Bonaventura (1217-1274)  

Natale, il misterioso scambio
IN GESÙ DIVENTIAMO FIGLI DI DIO
In quel Bambino, di nome Gesù, il Dio che cerchiamo a tastoni è il Dio che ci viene incontro. In Gesù la comunione con Dio, che il nostro cuore ricerca, diventa realtà. Gesù è l'unico pane per la fame dell'uomo, perché l'uomo è fame di Dio. Senza Gesù la nostra esistenza è condannata al naufragio e allo scacco. A Betlemme l'eterna giovinezza di Dio è penetrata in questo mondo per non lasciarlo mai più. Dio si è unito «indissolubilmente» all'umanità, per sempre. Il Dio che si rivela nel Bambino di Betlemme è un Dio «umano». E l'uomo che lo accoglie diventa divino. In lui la vita è salva perché in lui trova il senso.
4. Ti rendiamo grazie, o Padre, per Gesù
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno. Nel mistero del Figlio tuo fatto uomo, nato a Betlemme da Maria Vergine, è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili. In lui risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l'uomo mortale è innalzato a una dignità perenne e noi, liberati dal peccato, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale.
                                                                       Dalla liturgia

Natale, rivelazione di Dio
UN BAMBINO E’ “DIO”
Un bambino come i nostri appena nato, che dorme fra le braccia della Madre, è il Figlio di Dio, è il Salvatore atteso. Dio ci viene incontro non con i segni della potenza che incute timore, ma nella debolezza di un bambino che chiede amore: un bambino “povero” che nasce in una stalla, che ha per culla una mangiatoia. Eppure nel silenzio di quella notte risuona il lieto annuncio: “Vi annuncio una grande gioia, oggi è nato per voi il Salvatore”. La gioia è la certezza di essere salvati. La nostra gioia è Gesù, “Dio con noi”. Il volto di Dio risplende sul volto di un bambini povero appena nato.
5. Gesù eccoti il mio cuore
Affrettati, o Gesù, eccoti il mio cuore. L’anima mia è povera e nuda di virtù, le paglie di mie tante imperfezioni ti pungeranno e ti faranno piangere. Ma, o mio Signore, è tutto quello che ho. Mi commuove la tua povertà, mi intenerisce, mi strappa le lacrime. Gesù abbellisci l’anima mia con la tua presenza, adornala con le tue grazie, brucia queste paglie e cambiale in soffice giaciglio per il tuo santissimo corpo di neonato. Gesù, ti aspetto. Molti ti rifiutano, Fuori spira un vento glaciale… vieni nel mio cuore. Sono povero, ma ti riscalderò più che posso. Almeno voglio che ti compiaccia del mio grande desiderio di farti buona accoglienza, di volerti un gran bene, di sacrificarmi per te.
                                      Papa Giovanni XXIII (1881-1963)     

Natale, festa della fede
IL VERBO DI DIO SI È FATTO CARNE
«Se l'uomo vuol tornare a vivere da uomo bisogna che si renda più cosciente della sua vocazione. L'uomo supera infinitamente l'uomo, diceva Pascal. La vocazione dell'uomo è sempre una vocazione religiosa. Dio ha creato l'uomo perché sia il suo partner. Si vive per riconoscere Dio e attestare il suo amore infinito. Credo che tutti abbiano la possibilità di accedere al divino nella natura. Sono convinto che non esiste un ateo totale. La vita diventerebbe un assurdo, un peso, una condanna. Ma chi crede in Cristo è sempre un pazzo per chi non crede. Io capisco quelli che non accettano la rivelazione che Dio fa di se stesso in Cristo perché ha sempre dell'incredibile» (Divo Barsotti).
     Sembra una pazzia che Dio, l'Infinito, l'Eterno, l'Onnipotente, sia un Bambino debole e fragile. Ma pazzia non è. E’ mistero. E’ solo la fede dischiude al mistero. Solo un cuore puro può «riconoscere» Dio in un Bambino appena nato e dire davanti a Gesù: «Tu sei il Figlio di Dio. Sei qui con noi, in mezzo a noi!». Natale è la festa della fede
6. Tu, l'Increato, ti sei fatto creatura
Mio Dio, rendimi degna di avere una viva conoscenza del mistero della tua santissima Incarnazione, inizio della nostra salvezza. incomprensibile carità! Non c’è carità più grande di questa: il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio. O Amore infinito, per rinnovarmi ti sei fatto piccolo. In Gesù, tu, l'Incomprensibile, ti sei fatto comprensibile! Tu, l'Increato, ti sei fatto creatura. Tu, l'Impalpabile, puoi essere toccato. O Signore, rendimi degna di vedere la profondità di questa altissima carità che comunicasti a noi nella santissima Incarnazione.
                                 Beata Angela da Foligno (1248-1309)

Natale, festa dell’amore
DISCESE DAL CIELO PER SALVARCI
La gioia di vivere sgorga dalla certezza di essere conosciuti per nome, di essere amati di un amore gratuito, assoluto, incondizionato, eterno. Chi ama discende, chi ama condivide, chi ama si identifica. A Natale sappiamo che Dio ci ama così. Il Figlio di Dio è «disceso» dal cielo, è nato per noi, si è fatto uno di noi, per «condividere» la nostra condizione umana, per identificarsi con noi, per prendere su di sé i nostri dolori e i nostri peccati, per liberarci dal male e innalzarci fino alla dignità di figli di Dio. Un mistero che riempie il cuore di gioia e che ci spinge ad amare come Dio ci ha amato. Gesù rinasce in ogni bambino che viene in questo mondo, è presente in ogni uomo che ha bisogno di aiuto e di amore. E continua ad essere presente in mezzo a noi nel segno del Pane. Qui lo possiamo sempre incontrare e amare.
7. Gesù, tu rinasci in ogni bambino
Signore Gesù, tu hai detto: “Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli l’avete fatto a me”. Tu, Signore Gesù, rinasci in ogni bambino, ti identifichi con quelli che hanno fame, che sono malati, che sono nudi; che non hanno dove rifugiarsi, con tutti quelli che sono affamati non solo di pane, di vestiti, di casa, ma di amore. Gesù rendici degni di servirti nei poveri che vivono e muoiono nella povertà e nella fame. Attraverso le nostre mani dona loro il pane quotidiano. Per mezzo del nostro amore ricolmali di gioia e di pace. Gesù, tu doni a noi il tuo corpo realmente presente nel pane della Eucaristia. Aiutaci a riconoscerti presente e a servirti nel corpo sofferente dei nostri fratelli.
                                                 Madre Teresa di Calcultta

Natale, festa della pace
GLORIA A DIO, PACE IN TERRA
Perché la nascita di Gesù porta nel mondo la pace, quella vera? Gesù porta la pace, perché «è» la pace. Gesù è la nostra pace. In Gesù, Dio e l'uomo sono uniti per sempre, indissolubilmente, con un vincolo che niente potrà spezzare. Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. Gesù è vero Dio e vero uomo. Gesù riconcilia con Dio l'umanità che si era separata da Dio con il peccato. Non c'è vera pace con Dio senza remissione dei peccati. La pace con Dio è l'unica sorgente della pace fra gli uomini, nelle famiglie, fra i popoli, fra le razze, fra le classi, fra i cristiani... La gloria di Dio è l'uomo vivente, ma la vita dell'uomo è la comunione con Dio. La gloria di Dio è la pace degli uomini con Dio e fra di loro. La comunione con Dio è il dono del Natale.
8. Tu sei la mia pace, Signore Gesù
Signore Gesù, tu sei venuto per pacificare il cielo con la terra, per guidare i nostri passi sulla via della pace. O pace, tu sei l'aspirazione più profonda del mio cuore inquieto. Gesù tu «sei» la mia pace: tu mi metti in pace con Dio, con me stesso, con tutti. Concedimi, Gesù, una fede viva nella remissione dei peccati che «pacifichi» la mia coscienza. Donami una dolce fiducia nella tua grazia che infonda in me una assoluta adesione alla tua santa ed eterna volontà. In essa soltanto è la nostra pace. Riempi il mio cuore, Signore Gesù, di quella pace che è in te, che viene da te, che sei tu. 
                               Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704)

Natale, Dio ha una madre
MARIA, LA MADRE DEL SIGNORE
Maria è la madre di Gesù, la madre di Dio fatto uomo, la donna che ha dato alla luce il figlio di Dio, che lo ha stretto fra le sue braccia, che lo ha nutrito con il suo latte. Maria è la creatura totalmente vuota di sé che ha accolto in sé il Creatore. Il lei Dio è diventato Gesù, uno di noi, nostro Salvatore. La contemplazione del mistero di Maria, fa sbocciare nel cuore, un canto di ringraziamento senza fine per le meraviglie che Dio ha compiuto in lei. La vita di Maria si intreccia con quella di Gesù, e con quella di ogni uomo che vive in questo mondo. La madre di Gesù è madre nostra. Chi la incontra e si affida a lei come un bambino, non è più solo0 nel cammino della vita.
9. Maria, fa' che ami Gesù come l'ami tu
O Maria, Madre di Dio e madre nostra, il mio cuore vuole amarti, le mie labbra cantarti, la mia anima pregarti. O beata fiducia e sicuro rifugio! La Madre di Gesù è madre nostra. La Madre di colui in cui speriamo è madre nostra. La Madre di colui che solo può salvare è madre nostra. Gesù, Figlio di Dio, ti supplico: per l'amore infinito che porti a tua Madre, concedimi di amarla come tu l'ami e vuoi che sia amata. Maria, madre buona, ti supplico: per quell'amore così tenero che porti a Gesù, tuo Figlio, ottienimi di amarlo come tu l'ami e vuoi che sia amato. E in questo amore si consumi la mia vita, perché tutto il mio essere canti per l'eternità: Benedetto il Signore! Amen. Amen.
                                     Sant'Anselmo di Aosta (1033-1109)

LA STORIA DI NATALE










  


  


  

  


  


  


  


  


  


  


  

Cinque baci d'amore al Santo Bambino



(Da farsi alla mezzanotte del Santo Natale e nei momenti díf­ficili della vita) 
Baciando la manina destra: O mio Gesù, quel che vuoi tu voglio pur io, lo voglio perché lo vuoi tu, o Gesù.
Baciando la manina sinistra: Gesù, quel che vuoi tu vo­glio pure io, lo voglio come lo vuoi tu, o Gesù.
Baciando il piedino destro: Gesù quel che vuoi tu, vo­glio pur io, lo voglio quando lo vuoi tu, o Gesù.
Baciando il piedino sinistro: Gesù quel che vuoi tu, vo­glio pur io, lo voglio finché lo vuoi tu, o Gesù.
Baciando il cuore: Dolce mio Signore, dammi quello che vedo nel tuo cuore.



Gesù e il Pettirosso

 Gesù, nel silenzio sopportò con amore anche questa sofferenza. Si sa, in questi momenti difficili, ci vuole un amico! Passava di là un uccellino. Aveva sentito parlare di Gesù. E a dire il vero lo aveva anche visto quando svolazzava qua e là per le strade di Gerusalemme. Il nostro uccellino vide da lontano il povero Gesù. Era lassù da solo e quella corona doveva fargli davvero male. Eppure per noi, Gesù non aveva rifiutato tutto ciò. C’erano i soldati lì vicino. L’uccellino aveva un po’ paura…non sapeva se avvicinarsi…
Poi decise! Non poteva più aspettare, il suo amico aveva bisogno di lui!
E piano piano, senza che nessuno lo vedesse, si posò sul capo di Gesù. Gesù alzò lo sguardo e riconobbe il suo amico uccellino. E l’uccellino chiese a Gesù: “ Cosa posso fare per Te, Signore mio?”. E Gesù, sorridendogli rispose: “ Vedi, mi hanno messo queste spine sul capo”. Allora il piccolo uccellino non se lo fece ripetere e con il suo becco sottile pian pianino iniziò a staccare tutte le spine della corona. E Gesù lo ringraziò: “ Grazie, piccolo amico; sapessi che sollievo mi dai. Vedi, ogni piccolo o grande gesto d’amore fatto verso di me mi da una gioia immensa. Dici a tutti i tuoi amici che incontrerai: anche se è grande il sacrificio che faccio per voi, altrettanto grande è la gioia che mi danno tutti i vostri atti d’amore. Tutte le cose buone che farete saranno sempre una grande gioia per me e mi sosterranno con dolcezza. Sarò sempre sicuro di poter contare su di te e su tutte le persone che mi vogliono bene”. E mentre l’uccellino stava salutando Gesù per volare via, una goccia del preziosissimo Sangue di Gesù cadde sul petto dell’uccellino colorandolo di rosso. Da allora tutti gli uccellini di quella specie si chiamano pettirossi perché portano sul petto il ricordo visibile di quel dolcissimo gesto d’amore che Gesù tanto apprezzò.



martedì 27 novembre 2012

Laura Degan

                         13 dicembre 1987    -   11 settembre 1994


Laura nasce il 13 dicembre 1987, giorno di santa Lucia, nell’ospedale di Padova da Paolo Degan e da Paola Franceschetto. Viene battezzata dal parroco, don Rino, domenica 7 febbraio 1988. È una bambina solare, vivace, felice, che ama giocare, correre, saltare. Ha appena due anni quando il 25 febbraio 1990 i medici le diagnosticano una malattia gravissima e  la famiglia decide di portarla al Santuario di San Leopoldo, qui un religioso apre per la piccola la vetrinetta dove viene custodita il saio del Santo: la mamma ne ha preso un lembo e lo ha appoggiato al viso di Laura;, a questo punto la piccola si è inginocchiata e ha così pregato: «Nonno Poldo, aiutami a guarire!».
Il 27 fenbbraio 1990 Laura entra per la prima volta in sala operatoria nel reparto di chirurgia pediatrica dell’Ospedale di Padova: è molto agitata e per acquietarsi decide di chiedere alla mamma di cantarle l’Ave Maria e si addormenta.

Della situazione  di Laura viene informato nel 1991 Giovanni Paolo II, al quale Laura fa pervenire disegni e offerte per i bambini poveri e dal Vaticano partono messaggi e corone del Rosario.
L’8 gennaio 1993 è sottoposta a trapianto di midollo, mentre l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, la mamma porta Laura alla basilica di Sant’Antonio, dove si trova il Vescovo, monsignor Antonio Mattiazzo che benedice la piccola malata.

Frequenta la scuola materna, il catechismo fino a tre mesi di scuola elementare. Impara a leggere e scrivere e il 16 maggio 1994 compone una poesia dal titolo La primavera è bella. La famiglia riesce ad ottenere dal parroco la possibilità di anticipare la Prima Comunione, che Laura desiderava tanto ricevere.
La sera del 6 luglio 1994, festa di santa Maria Goretti, Laura venne vestita di bianco e di blu, come il giorno della processione del Corpus Domini del 1993, quando aveva sparso petali di rose per le vie del paese. Espresse i desiderio di poter essere presente anche lei il giorno in cui i suoi compagni di prima elementare avrebbero fatto la loro prima Comunione e chiese: «Posso farla anch’ io con la tunichetta bianca?».

Dal 6 luglio Laura prese la Comunione tutti i giorni, finché fu possibile andò con la sua mamma alla Santa Messa della chiesa del Sacro Cuore di Saccolongo e un giorno proprio la mamma, tenendola in braccio, le spiegò tutta la Via Crucis. Quando non le fu più possibile andare in chiesa, perché costretta a letto, un sacerdote, fra i tanti che conosceva la famiglia degan, le portava l’Eucaristia che la piccola attendeva con grande apprensione. Capitava che venisse anche celebrata la Snata Messa nella sua cameretta, che era diventata luogo sacro, dove l’amore divino si incontrava con Lauretta. Don Rino ha lasciato scritto: «Quello che mi sorprendeva sempre in questa bambina di pochi anni non era tanto l’atteggiamento raccolto e consapevole che assumeva nel ricevere  l’Eucaristia, quanto invece il silenzio e la solitudine che voleva attorno a sé: chiedeva di rimanere sola, di non essere disturbata. Certe cose non si percepiscono se non nel silenzio e con gli occhi del cuore. Non per nulla Gesù, in un impeto di commozione, lodò il Padre con le parole: Ti benedico,  o Padre, perché hai rivelato i misteri del Regno di Dio ai piccoli e non ai sapienti!».

Il viso di Laura era ormai sfigurato e stava perdendo la vista. Un giorno, nel giardino degli amici Meggiorin, mentre veniva recitato il Rosario, come tutti i lunedì, per la guarigione della bambina, Laura esclamò ad un tratto: «Guarda un Angioletto! Vedo un Angelo!» e da allora lo vide, fino alla fine, e alla mamma che le chiedeva che cosa si dicevano fra di loro, lei rispose: «Tu parla con il tuo Angelo; io parlo con il mio».
La sera del 1° agosto 1994, verso le 22,30, già in condizioni molto gravi, Lauretta si mise a cantare l’Inno della Madonna di Czestochowa. Una volta venne a farle visita un padre della basilica ci Sant’Antonio, dove Laura era stata più volte pregando sul marmo dove riposa il taumaturgo, portando con sé una reliquia del santo. Ma quale meraviglia quando le venne portato un frammento della Santa Croce di Cristo Gesù.

La sera del 6 agosto, giorno della Trasfigurazione, riceve la Santa Cresima e fra il 9 e 10 dello stesso mese perse la vista, ma non ci fu lamento; quando si avvicinava al fratellino Marco lo accarezzava e gli diceva che era bellissimo, pur non vedendoci. Lauretta chiese alla mamma di assistere ogni mattina alla Santa Messa perché così facendo i suoi mali diminuivano, la nonna era molto preoccupata dell’assenza della mamma, temeva, infatti, le frequenti emorragie a cui la nipotina andava soggetta. Ma la piccola la rassicurava sempre, affermando che mentre la mamma era in chiesa non poteva accaderle nulla di male.
Una notte si mise a piangere angosciata, dicendo di soffrire molto a causa di fasci di luce fortisismi; in realtà la camera era totalmente al buio; ma, appeso, alla parete c’era un immagine di Gesù Misericordioso, dal qual scaturivano grandi fasci di luce. Quelli che colpivano Laura?
La notte, spesso, non riusciva a riposare, allora ascoltava Radio Maria, in particolare i canti rivolti a Maria Vergine e il santo Rosario, ma le piaceva molto anche ascoltare la voce di Padre Pio, registrata su cassette. Oppure parlava con la mamma o la nonna. Si considerava fortunata perché poteva avere sempre accanto a sé la sua mamma e avere le medicine necessarie, non così, diceva, accadeva ai poveri bambini del Ruanda o della Bosnia.

Il viso bellissimo, innocente e puro divenne tutta una piaga e nei momenti di grande sofferenza chiedeva delle gocce di olio santo da mettere nelle orecchie che sentiva chiuse; oppure faceva richiesta che le venisse bagnato il viso con l’acqua benedetta o che si appoggiassero sulle piaghe alcune foglie di edera del pozzo della Madonna del Sacro Cuore di Saccolongo. La casa ospitava continuamente sacerdoti, religiosi e religiose: ognuno di loro ha mantenuto un ricordo immacolato di Lauretta ed è pronto a testimoniare, come molte altre persone che l’hanno conosciuta, la sua santa piccola esistenza. Casa Degan divenne così luogo di preghiera e si potrebbe dire di espiazione per i peccati altrui.
Parlava con Gesù Bambino, la Madonna e il suo Angelo custode fino ad arrivare a domenica 11 settembre 1994. Alle 13,50 la mamma appoggiò alla sua gola un’immagine di padre Pio. Spirò. Lascia testimonianza la nonna: «Insieme al forte dolore per il distacco che regnava nei nostri cuori anche una grande pace. La tua mamma disse al parroco di suonare le campane a festa. Don Rino, dopo un attimo di perplessità, esaudì questo suo – e certamente anche tuo – desiderio».

Autore: 
Cristina Siccardi

Note: 
Per approfondire: Lorenzo Laporta - Mi vestirò da angelo. Laura Degan. Una nonna ci racconta l'incredibile storia di una bambina nella malattia - Ed. Shalom
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domenica 25 novembre 2012

CORONCINA DELL’UNITA’



La Coroncina dell'Unità è costituita da una serie di pre­ghiere recitate sui grani di un normale rosario. Gesù ha detto: "Prometto di dare a questa Coroncina dell'Unità grande potenza sul Mio Sacro Cuore Ferito ogni qualvolta sarà reci­tata con fede e fiducia per la guarigione delle divisioni pre­senti nelle vite dei Miei popoli... ". 

Sui grani grossi prima di ogni decina 
si reciti così:

"Dio Padre Nostro Celeste, attraverso il Tuo Figlio Gesù, nostro Sommo Sacerdote e Vittima, Vero Profeta e Re Sovrano, diffondi la Potenza del Tuo Santo Spirito su di noi e apri i nostri cuori. Nella Tua Grande Misericordia, attraverso la Mediazione Materna della Santa Vergine Maria, nostra Regina, perdona i nostri peccati, guarisci le nostre ferite e rinnova i nostri cuori nella Fede e nella Pace, nell'Amore e nella Gioia del Tuo Regno, affinché possiamo essere una sola cosa in Te".

Sui dieci piccoli grani di ciascuna delle cinque decine, si reciti così:

"Nella Tua Grande Misericordia, perdona i nostri peccati, guarisci le nostre ferite e rinnova i nostri cuori, affinché possiamo essere una sola cosa in Te,

Si concluda la Coroncina con le seguenti preghiere:

"Ascolta, oh Israele! II Signore nostro Dio è Unico Dio!"; "Oh Gesù, Re di Tutte le Nazioni, il Tuo Regno sia riconosciuto sulla terra!; "Maria, Madre nostra e

Mediatrice di Tutta la Grazia prega ed intercedi per noi figli tuoi!"; "San Michele, grande Principe e Custode del Tuo popolo, vieni con i Santi Angeli e con i Santi e proteggici!.

Gesù ha detto: "Sì, in questa devozione a Me quale Gesù Re di Tutte le Nazioni, implorate il Mio Cuore Regale con la preghiera di questa Coroncina dell'Unità che lo Stesso, vostro Sovrano Signore Gesù Cristo, vi ho donato! Pregate e chiedete la pienezza spirituale e la guarigione delle vostre stesse anime, per l'unione della vostra volontà con la Volontà di Dio, per la guarigione delle vostre famiglie, dei vostri amici, nemici, conoscenti, ordini religiosi, comunità, paesi, nazioni, il mondo, e per l'unità nella Mia Chiesa sotto il Santo Padre! Concederò molte guarigioni spirituali, fisi­che, delle emozioni e psicologiche a coloro che reciteranno questa preghiera se ciò sarà di beneficio per la loro salvezza secondo la Mia Santa Volontà! Unità e comunione nello Spirito fu quanto io invocai per tutta l'umanità e per la Mia Chiesa quale Mio ultimo testamento prima che io dessi la vita quale Salvatore di tutta l'umanità! Poiché sono Uno con il Padre Mio e con lo Spirito Santo, la Mia Volontà è che tutta l'umanità sia una in Me, cosicché una Fede, un Gregge ed un Pastore saranno riuniti insieme sotto la Mia Regalità Sovrana quale Signore".

"Io, Gesù, Figlio di Dio Altissimo... prometto di porge­re alle anime che reciteranno la Mia Coroncina dell'Unità lo scettro della Mia Regalità e di concedere loro misericor­dia, perdono e protezione in tempi di severe condizioni atmosferiche e di calamità. Estendo questa promessa non solo a voi, ma anche alle persone per cui pregate. Io pro­teggerò queste anime da ogni forma di male o di pericolo, spirituale o fisico, sia dell'anima, che della mente o del corpo, e le rivestirò con il Mio Stesso mantello di Regale Misericordia ".

La Coroncina dell'Unità può essere pregata anche come Novena, per nove volte successivamente. Si può fare in una sola volta, in ore successive o in giorni successivi. Gesù ha detto: "FateMi una Novena con la Coroncina dell'Unità ed io risponderò con potenza e in modo opportuno alle vostre preghiere secondo la Mia Santissima Volontà Sovrana!".









domenica 18 novembre 2012

LE GRANDI ANIME



Le grandi anime non fanno rumore
ne vogliono apparire
assomigliano al seme che morendo, in silenzio,
se stesso immola
per dare vita a nuova, verde pianta.
Esse sono come il vento,
con invisibili, dita
gli alberi scuote, fino alle radici
spogliandoli, delle foglie morte.
Le riconoscerai accorgendoti, che
ti ringraziano del tuo nulla
donandoti il loro tutto.
Ti lasciano credere di essere fragili
mentre in realtà sono soltanto umili.
Ti spogliano del tuo soffrire
per farne il loro abito più bello.
Sanno parlare ai fiori e sorridere alla pioggia.
Non condannano, senza avere cercato di capire.
Soffrono delle tue pene e sono liete delle tue gioie.
le grandi anime esistono
ma sono nascoste come preziose, radici
sono soltanto fiori che disdegnano la fama.
Non cercarle, perciò nel rumore
sappi che esse, adorano il silenzio
di silenzio, si nutrono, e ne fanno diademi.

Testo di: Marta Alberti






venerdì 2 novembre 2012

♥ PREGHIERE PER LIBERARE ANIME DAL PURGATORIO ♥





TI ADORO O CROCE SANTA

Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Cor­po Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce pe
r me. Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che èil mio Signore. Amen.

Recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 Anime del Purgatorio.

Recitata 50 volte ogni venerdì, ne libera 5.



ORAZIONE

da recitarsi davanti al Crocifisso

Adoro te, Croce preziosa, che con le venerabili membra del mio Signore Gesù Cristo foste ador­nata, e col suo preziosissimo san­gue tinta. Adoro te mio Dio, posto su quella Croce per amor mio.

Pater, Ave, Gloria e Requiem

Con questa Orazione si liberano tre anime dal Purgatorio ogni venerdì che si recita, e 33 al Venerdì Santo.


Il Purgatorio. III-Le pene del Purgatorio


tramite Parrocchia S. Stefano Protomartire - Blog di caorleduomo il 02/11/12


Nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti cito un brano del libro "Il Purgatorio nella Rivelazione dei 
Santi" (Visto: nulla osta alla stampa. Torino 10 marzo 1946 Sac. Luigi Carnino, Rev. Del. Imprimatur. Can. Luigi Coccolo, Vic. Gen.), disponibile in rete a questo indirizzo. In questo capitolo si parla delle pene del Purgatorio; l'intenzione non è quella di spaventare i cristiani, ma, specialmente in questo tempo in cui, secondo un pensiero più protestante che Cattolico, si tende a non parlare più del Purgatorio, di sollecitare la pietà dei fedeli i quali, conoscendo le pene che la Giustizia e la Misericordia di Dio permette per le anime purganti, saranno persuasi in vita a cercare con tutte le forze di evitare il Purgatorio per giungere in Paradiso e a pregare per le anime di tutti i loro cari defunti imprigionate nel Purgatorio dai loro peccati, perché giungano al più presto alla gloria eterna dei Beati.
LE PENE DEL PURGATORIO E IL LORO RIGORE
Pena del danno e pena del senso

Dopo, la divina sentenza, supposto che l'anima sia condannata al Purgatorio, il desiderio di purificazione invade l'anima stessa, che nella pena che le è riservata vede la via che la condurrà più presto in Paradiso. S. Caterina da Genova, nel suo meraviglioso Trattato del Purgatorio, dice che l'anima corre a precipitarsi in Purgatorio, tanto è grande l'orrore che concepisce dei suoi falli dinanzi alla purezza e alla santità di Dio e tanto è impaziente di purificarsi dalle sue sozzure. Ecco le parole della Santa: «Siccome lo spirito mondo e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, essendo stato creato a questo fine; così l'anima in peccato, altro luogo non trova adatto, salvo l'Inferno, avendole ordinato Iddio quel luogo per fine suo: perciò in quell'istante in cui lo spirito è separato dal corpo, l'anima corre verso l'ordinato suo luogo, senz'altra guida che la natura del peccato, quando l'anima parte dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quell'ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in un maggiore inferno; perciò non trovando luogo conveniente, né di meno male per lei, per l'ordinazione di Dio vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.

«Così a proposito del Purgatorio, l'anima separata dal corpo, non trovandosi in quella purezza nella quale fu creata, e vedendo in sè l'impedimento che non le può essere levato se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri e se non trovasse questa ordinazione, atta a levarle quell'impaccio, in quell'istante in lei si genererebbe un vero inferno, vedendo di non potere accostarsi (per l'impedimento) al suo fine, che è Dio, il quale le è tanto a cuore, che in comparazione al Purgatorio è da stimarsi nulla, benché, come si è detto, sia simile all'Inferno (cap- 7)».
Le rivelazioni dei Santi confermano quanto dice S. Caterina da Genova. Leggiamo in S. Geltrude come una religiosa del suo monastero, nota per le sue austere virtù, essendo morta ancor giovane con sentimenti di edificante pietà, si manifestasse alla Santa, mentre questa stava pregando per lei. La defunta fu vista innanzi al trono dell'Altissimo circondata da una brillante aureola e ricoperta di ricche vesti tuttavia sembrava triste in volto e pensierosa, e teneva gli occhi bassi quasi si vergognasse di comparire innanzi a Dio. Sorpresa Geltrude, domandò al divino Sposo delle vergini la causa di quella tristezza e di quel timore, e lo pregò di invitare quella sua sposa presso a lui. Allora Gesù, fatto cenno a quella buona religiosa di avvicinarsi, le sorrideva con amore; ma ella sempre più turbata ed esitante, dopo aver fatto un grande inchino alla Maestà di Dio, si allontanò. Santa Geltrude, più che mai stupita, rivolgendosi direttamente a quell'anima, le disse: - Figlia mia, perché ti allontani, mentre il Salvatore t'invita? Hai sempre desiderato questa suprema felicità durante la vita terrena, ed ora che sei chiamata a goderne, te ne rimani così fredda e impassibile? Non vedi forse che il buon Gesù ti aspetta? - Ma quell'anima rispose - Ah! madre mia, io non sono ancora degna di comparire innanzi all'Agnello immacolato, poiché mi restano ancora alcune macchie da purificare. Per potersi avvicinare al Sole di Giustizia bisogna essere più puri della luce stessa ed io non ho ancora questa perfetta purezza che egli brama di contemplare nei suoi Santi. Anche se le porte del cielo fossero spalancate dinanzi a me e da me sola dipendesse il varcarle, non oserei giammai di farlo prima di essere intieramente purificata dalle più piccole colpe; mi sembrerebbe che il coro delle Vergini, che seguono di continuo l'Agnello divino, mi dovesse scacciare lontano da lui per non esserne degna. - Ma come può esser ciò che mi dici, rispose la Santa, se io ti vedo, o mia figlia, circondata di luce e di gloria? - Quanto voi vedete, rispose quella, non è che la frangia delle vesti sublimi dell'immortalità. Ben altra cosa è il vedere Iddio, il vivere in lui e possederlo per sempre! Per conseguire però questa grazia è necessario che l'anima non abbia in sé la più piccola macchia di colpa.

Così, dopo il giudizio, si inizia la purificazione, hanno inizio le pene. E quali pene! Vicino alla bara di un nostro caro, che le sofferenze hanno consumato, ci confortiamo ordinariamente dicendo: - Almeno ha finito di patire!... - Oh! finissero veramente, col finire della vita presente, le nostre pene! Il corpo cessa di soffrire, ma le sofferenze dell'anima possono continuare, possono accrescersi, e continuano e crescono generalmente.
Infatti secondo quello che insegnano i Dottori, i patimenti del Purgatorio non solo son riservati a quasi tutte le creature umane, ma per la loro intensità neppure sono da paragonarsi ai patimenti della vita presente. Secondo S. Tommaso, il quale del resto non fa che riferire l'unanime insegnamento dei Padri, le pene del Purgatorio in nulla differiscono dalle pene dell'Inferno, eccetto che nella durata. Altrettanto asseriscono i mistici. Ecco quel che leggiamo in S. Caterina da Genova:
«Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, né alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, a meno che Iddio non lo facesse conoscere per grazia speciale (Tratt. del Purg., cap. 2). V'è nel Purgatorio, come nell'Inferno, doppia pena, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande, ed è tanto più intensa in quantoché quelle anime vivendo nell'amicizia di Dio, sentono più forte il bisogno di unirsi a lui» (Id.).

La Chiesa non si è mai pronunziata sulla natura della pena del senso. Nel Concilio di Firenze fu lungamente dibattuta anche questa questione fra i Greci e i Latini, ma per non porre ostacolo alla desiderata unione delle due Chiese, nulla venne deciso. Però siccome tutti i teologi insegnano che questa pena è quella del fuoco, come pei dannati, sarebbe temerità allontanarsi da tale opinione. Secondo S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Tommaso, questo fuoco è sostanzialmente uguale a quello dell'Inferno: la differenza consiste solo nella durata.
Agli insegnamenti dei Padri e dei Teologi, fanno eco gli insegnamenti dei Mistici e le rivelazioni dei Santi. Nella storia del Padre Stanislao Choscoa, domenicano, leggiamo il fatto seguente (Brovius, Hist.Hist, de, Pologne, année 1590).

Un giorno, mentre questo santo religioso pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, alla quale avendo egli domandato se quel fuoco fosse più penetrante di quello della terra: - Ahimè!, rispose gridando la misera, tutto il fuoco della terra paragonato a quello del Purgatorio è come un soffio d'aria freschissima. - E come ciò è possibile? soggiunse il religioso. Bramerei farne la prova a condizione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire in Purgatorio. - Nessun mortale, replicò allora quell'anima, potrebbe sopportare la minima parte di quel fuoco senza morirne all'istante tuttavia se tu, vuoi convincertene, stendi la mano. - Il padre, senza sgomentarsi, porse la mano, sulla quale il defunto avendo fatto cadere una goccia del suo sudore, o almeno di un liquido che sembrava tale, ecco all'improvviso il religioso emettere grida acutissime e cadere in terra tramortito, tanto era grande lo spasimo che provava. Accorsero i suoi confratelli, i quali prodigarono al poveretto tutte le cure, finché non ottennero che ritornasse in sé. Allora egli pieno di terrore raccontò lo spaventoso avvenimento, di cui egli era stato testimone e vittima, conchiudendo il suo discorso con queste parole – Ah! fratelli miei, se ognuno di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai facciamo penitenza in questa vita, per non doverla poi fare nell'altra, perché terribili sono quelle pene; combattiamo i nostri difetti, e correggiamoli, e specialmente guardiamoci dai piccoli falli, poiché il Giudice divino ne tiene stretto conto. La maestà divina è tanto santa che non può soffrire nei suoi eletti la minima macchia. - Dopo di che si pose in letto, ove visse per lo spazio di un anno in mezzo ad incredibili sofferenze prodottegli dall'ardore della piaga che gli si era formata sulla mano. Prima di spirare esortò nuovamente i suoi confratelli a ricordarsi dei rigori della divina giustizia, e quindi morì nel bacio del Signore. Lo storico soggiunge che questo esempio terribile rianimò il fervore in tutti i monasteri, e che i religiosi si eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, affine d'essere salvi da così atroci supplizi.

Un fatto quasi uguale avvenne alla beata Caterina da Racconigi (Diario Domenicano, Vita della Beata, 4 Sett.). Una sera, mentre ella assalita dalla febbre stava coricata in letto si mise a pensare agli ardori del Purgatorio, e secondo la sua abitudine, rapita di lì a poco in estasi, fu condotta da nostro Signore in quel luogo di pena. Mentre osservava con terrore quegli ardenti bracieri e quelle fiamme divoratrici, in mezzo alle quali son trattenute le anime che hanno ancora da espiare qualche fallo, udì una voce che le disse: - Caterina, affinché tu con maggior fervore possa procurare la liberazione di queste anime, sperimenterai per un istante nel tuo corpo le loro sofferenze. - In questo mentre una favilla di quel fuoco andò a colpirla nella guancia sinistra: le consorelle che si trovavano vicino a lei per curarla videro benissimo questo fatto, e nel tempo stesso osservarono con orrore che il viso di lei si gonfiò in maniera spaventosa, mantenendosi poi per più giorni in quello stato. La Beata raccontava alle sue sorelle che tutti i patimenti da lei sofferti fino a quel momento (ed erano stati molti), erano nulla a paragone di quello che le faceva soffrire quella scintilla. Fino a quel giorno erasi sempre occupata in modo tutto speciale di sollevare le anime purganti, ma d'allora in poi raddoppiò il fervore e l'austerità per accelerare la loro liberazione, poiché sapeva omai per esperienza il gran bisogno che quelle hanno d'essere sottratte ai loro supplizi.

Racconteremo ora quanto accadde a Sancio virtuosissimo re di Spagna, com'è riferito da Giovanni Vasquez. (Cronica, an. 940).
Questo principe, fervente cristiano, morì avvelenato da uno de' suoi vassalli. Dopo la sua morte la consorte Guda non cessava di pregare e di far pregare pel riposo di quell'anima: fece celebrare un numero immenso di Messe, e per non separarsi da quelle care spoglie, prese il velo nel monastero di Castiglia, dove era stato sepolto il corpo del consorte. Indi a qualche tempo mentre un sabato ella stava pregando con gran fervore la SS. Vergine per la liberazione del defunto, le apparve costui, ma oh Dio! in qual misero stato! Era vestito in gramaglia, e per cintura portava doppio giro di catene arroventate, e rivolgendosi a Guda, le disse: - Ti ringrazio delle preghiere che fai per me e delle Messe che facesti celebrare in mio suffragio, ma prosegui, te ne prego, in quest'opera caritatevole. Se tu sapessi quanto io soffro faresti certamente assai di più, e il tuo zelo nel sollevare me, che tanto amasti sulla terra e che non hai cessato di amare, aumenterebbe d'assai. Per le viscere della divina misericordia soccorrimi, o Guda, soccorrimi, poiché queste fiamme mi divorano! - La pia Regina incominciò allora a raddoppiare preghiere, digiuni e buone opere affin di sollevare quell'anima sì duramente martoriata. Per quaranta giorni non cessò di piangere a calde lacrime per ispegnere le fiamme che divoravano il suo povero marito; fece dispensare larghe elemosine ai poveri a nome del defunto, fece celebrare un gran numero di Messe, e a tal fine donò al monastero splendidi arredi. Passati i quaranta giorni le apparve nuovamente il Re, ma libero dalle catene di fuoco, e invece di gramaglia, ricoperto di un manto candidassimo, nel quale Guda riconobbe con sorpresa quello da lei donato alla chiesa del monastero, e che scomparso all'improvviso - dalla sacristia, si credette involato dai ladri. - Ecco, le disse il Re; grazie a te, io son libero e non ho più nulla a soffrire; sii benedetta per sempre! Persevera nei tuoi pii esercizi, e medita spesso sul rigore delle pene dell'altra vita e sulle gioie del Paradiso, dove io vado ad aspettarti. - A tali detti la Regina, piena di gioia, volle tendere le braccia verso il defunto consorte, ma questo disparve lasciando in mano di lei il mantello, che ella rese alla chiesa cui lo aveva donato la prima volta.

Assai interessante il fatto seguente, che leggiamo nella vita di S. Nicola da Tolentino. Un sabato, di notte, mentre il Santo dormiva, vide in sogno una povera anima del Purgatorio, che lo supplicò di celebrare nella mattina seguente il divin Sacrificio per lei e per molte altre anime che soffrivano in Purgatorio. Il Santo, avendo riconosciuto la voce di chi gli parlava, senza potersi tuttavia ricordare a quale persona a lui nota appartenesse, domandò allo spirito chi fosse. - Io sono il tuo defunto amico Fra Pellegrino da Osimo, che purtroppo sarei andato dannato senza il soccorso della divina misericordia; mi trovo in luogo di pena; ho bisogno del tuo aiuto, ed anche a nome di molte altre anime infelici vengo a supplicarti di voler celebrare per noi domani la santa Messa, dalla quale attendiamo la liberazione, o almeno un gran sollievo dalle nostre pene. - Voglia il Signore applicarti i meriti del suo Sangue prezioso, rispose il Santo, ma in quanto a me, non posso soccorrerti domani col suffragio che mi domandi, perché essendo officiante di settimana, siccome domani è giorno di festa, non potrei celebrare all'altare del coro la Messa dei defunti. – Deh! vieni, vieni almeno con me, gridò allora il defunto con lacrime e singhiozzi, te ne scongiuro per amor di Dio, vieni a contemplare le nostre sofferenze, e non sarai più sì crudele da negarmi il favore che ti domando: so che il tuo cuore è troppo buono perché tu possa più oltre lasciarci in tante pene. Parve allora al Santo di essere trasportato in Purgatorio, dove vide una vasta pianura, nella quale una moltitudine di anime di tutte le età e condizioni erano tormentate con vari ed atroci supplizi. E qui bisognerebbe la penna dell'immortale Alighieri, del cantore sublime dell'Inferno e del Purgatorio per riferire i tormenti indicibili da cui vide il Santo afflitte quelle povere anime, e forse l'immaginazione stessa di Dante impallidirebbe dinanzi a tanto spettacolo di dolore. Non ci proveremo quindi a farlo, ma diremo solo che quegli spiriti penanti imploravano in coro coi gesti e colla voce gemente l'aiuto di san Nicola, al quale Fra Pellegrino disse: - Ecco, come vedi, la situazione di quelli che mi hanno a te inviato: essendo tu caro al Signore, confidiamo che nulla rifiuterà egli all'oblazione del santo Sacrificio compiuta dalle tue mani, e siamo sicuri che la divina misericordia ci libererà. - Sparita in tal modo l'apparizione, il Santo non poté frenare le lacrime alla considerazione di sì straziante spettacolo, e postosi in preghiera per tutto il resto della notte, appena albeggiato corse a trovare il priore per raccontargli l'accaduto. Questi, penetrato dalla descrizione di quelle pene, lo dispensò non solo per quel giorno, ma per l'intera settimana dall'ufficio di ebdomadario, onde potesse durante quel tempo offrire il divin Sacrificio a sollievo di quelle povere anime. Il Santo in quel giorno e per tutta la settimana celebrò la Messa con straordinario fervore, dedicandosi inoltre giorno e notte alla pratica delle virtù e delle penitenze più austere, prolungando le sue veglie e le sue orazioni, digiunando a pane ed acqua, martoriando il suo corpo con discipline e portando una catena di ferro strettamente serrata ai fianchi. Al termine di quei sette giorni, il Santo ebbe la consolazione di vedersi nuovamente comparire Fra Pellegrino, non più in mezzo a quelle orribili torture, ma ricoperto di una veste candidissima e circondato di splendori celesti, in mezzo ai quali gioivano molte altre anime benedette, che tutte salutarono il Santo, chiamandolo loro liberatore, e cantando mentre salivano al cielo: Salvasti nos de affligentibus nos, et odientes nos confudisti! (Ps. 43, 7).

Un altro fatto assai impressionante si legge nelle cronache domenicane a proposito del fuoco del Purgatorio (v. Ferdinando di Castiglia, Storia di S. Domenico, 2a parte, libro I, cap. a3).
A Zamora, città del regno di Leon in Spagna, viveva in un convento di Domenicani un buon religioso, legato in santa amicizia ad un Francescano, uomo anch'egli di esimia virtù. Un giorno in cui i due frati s'intrattenevano fra loro di cose spirituali, si promisero scambievolmente che il primo che fosse morto sarebbe apparso all'altro, se così a Dio fosse piaciuto, per informarlo della sorte toccatagli nell'altro mondo. Morì per primo il Francescano, e, fedele alla sua promessa, apparve un giorno al religioso Domenicano mentre stava preparando il refettorio, e - dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere bensì salvo, ma che gli rimaneva ancora molto da soffrire per una infinità di piccoli falli, dei quali non si era emendato durante la vita. Poi soggiunse: - Niente v'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene. - E perché l'amico ne avesse una prova, il defunto stese la destra sulla tavola del refettorio, dove l'impronta rimase così profonda, quasi vi avessero applicato sopra un ferro rovente. Quella tavola si conservò a Zamora fino al termine del ‘700, epoca nella quale le rivoluzioni politiche la fecero sparire insieme con tanti altri ricordi di pietà dei quali abbondava l'Europa.
«Usque ad novissimum quadrantem!»

Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leggeri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, illudendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell'altra vita.

Si legge nella vita della ven. Agnese di Gesù, religiosa domenicana, che per più di un anno sottopose il suo corpo ad asprissime penitenze, ed innalzò a Dio molte e ferventi preghiere pel defunto padre del suo confessore. Quest'anima le appariva sovente implorando i suffragi di lei, e un giorno avendole toccata una spalla con la mano, ebbe a soffrirci per più di sei ore gli ardori intollerabili del Purgatorio: finalmente il defunto fu liberato dopo tredici mesi da quelle torture. Sopra di che gli autori delle memorie sulla vita della madre Agnese fanno osservare il rigore dei divini giudizi; poiché il defunto avea santamente vissuto nel secolo, era un confessore della fede, essendo stato perseguitato dai protestanti di Nimes, i quali si erano impadroniti de' suoi beni, l'aveano gettato in prigione e vessata con ogni sorta di angherie; prima di morire aveva sopportato con pazienza esemplare una lunga e dolorosa malattia; eppure nonostante tanti meriti acquistati, nonostante i digiuni, le preghiere, le discipline della caritatevole Agnese, nonostante le numerose Messe celebrate dal figlio suo, ei restò più di un anno in mezzo a quelle torture spaventose.

Ma udite un esempio ancor più meraviglioso. Allorché questa stessa madre Agnese era priora del suo monastero, una delle religiose per nome suor Angelica, venuta a morte, il dì seguente, a quello in cui era spirata il confessore della comunità ordinò alla superiora che si recasse a pregare sulla tomba di lei. Vi andò ella infatti, e trovandosi là inginocchiata tutta sola e nel cupo della notte, fu assalita da un subitaneo timore, insinuatole forse dal demonio, che voleva distorla da quel caritatevole officio. Abituata però com'era alle sue astuzie, si tenne salda ed offrì a Dio quello spavento in espiazione per la defunta, rappresentandogli come non fosse curiosità ma obbedienza che la induceva ad interessarsi dello stato di quell'anima, e poiché era a lui piaciuto di farla custode in vita di quella povera pecorella, fosse naturale ch'ella trepidasse per lei dopo la morte. Ed ecco venirle innanzi la morta in abito da religiosa, emettendo dal capo come una fiamma ardente, il cui calore bruciava quasi il viso della priora, alla quale suor Angelica con grande umiltà domandò perdono dei dispiaceri causatile durante la vita, ringraziandola dell'affettuosa assistenza che le avea prodigata nell'ultima malattia. La madre Agnese, da parte sua, tutta confusa, domandava perdono alla suora, pretendendo nella sua umiltà di non averle prestato tutte quelle cure, alle quali sarebbe stata tenuta nella sua carica di superiora. Ma suor Angelica seguitava a ringraziarla e ad attestarle la sua riconoscenza, perché in vita le aveva spesso inculcate quelle parole del Vangelo: «Maledetto colui che compie con negligenza l'opera di Dio». La spronava in pari tempo ad eccitare le suore a servir Dio con sollecitudine e ad amarlo con tutto il cuore, e soggiunse: - Se si potesse arrivare a comprendere quanto son grandi i tormenti del Purgatorio, si starebbe sempre all'erta per cercare di evitarli. -

Tutti sanno quanto grande fosse il fervore delle prime compagne di S. Teresa, di quelle anime elette, che ella si era associate per la riforma del Carmelo. Eppure malgrado la loro santità e le loro eroiche penitenze, quasi tutte dovettero provare le pene del Purgatorio. Ecco quanto racconta a tal proposito la Santa stessa (Vita S. Teresa, scritta da lei stessa, cap. 30).« Una religiosa di questo monastero, gran serva di Dio, essendo morta appena da due giorni e recitandosi per lei in coro l'Ufficio dei defunti, mentre una suora leggeva una lezione ed io ero in piedi per dire il versetto, alla metà della lezione vidi l'anima della suddetta uscire dal fondo della terra e salire al cielo. « Nello stesso monastero moriva, in età di diciotto o venti anni circa, un'altra religiosa vero modello di fervore e di virtù, la cui vita era stata una serie non interrotta di patimenti e di dolori sofferti con ammirabile pazienza. Io non dubitavo che sarebbe libera dalle fiamme del Purgatorio; eppure, mentre circa quattro ore dopo la sua morte recitavo l'Ufficio, vidi parimenti la sua anima uscir dalla terra e salire al cielo ».

Dalla vita della beata Stefanina Quinzana togliamo un esempio, che avvalora quanto stiamo asserendo. Una religiosa domenicana, chiamata Suor Paola, era morta a Mantova dopo una lunga vita menata nell'esercizio delle più eroiche virtù. Il cadavere di lei, portato in chiesa, era stato posto in mezzo al coro, e mentre, secondo il rito ecclesiastico, ne veniva fatta l'assoluzione, la beata Stefanina Quinzana, che era legata da stretta amicizia alla defunta, inginocchiatasi presso la bara, si pose a raccomandare a Dio con tutto il fervore dell'anima la compianta amica. Quand'ecco questa all'improvviso lasciar cadere il crocifisso che teneva fra le mani, tendere la sinistra, ed afferrando con questa la mano destra della beata, stringerla con tanta forza, da non poterla più svincolare. Per più di un'ora quelle due mani restarono così serrate, durante il qual tempo Suor Stefanina sentiva in fondo al suo cuore una voce inarticolata, che diceva: - Soccorretemi, sorella mia, soccorretemi negli spaventosi supplizi che mi tormentano. Oh! se sapeste la rabbia dei nostri nemici invisibili nell'ora della morte, e la severità del Giudice che esige il nostro amore, che esamina le nostre più indifferenti operazioni, e l'espiazione da farsi prima di giungere alla ricompensa! Se sapeste come bisogna esser puri per ottenere la corona immortale! Pregate molto per me, sorella mia; ponetevi mediatrice fra la giustizia di Dio e i falli di me meschina; pregate, pregate e fate penitenza per me che non posso più aiutarmi. - Tutta la comunità rimase stupita a quel fatto, quantunque nessuno intendesse i lamenti della defunta; finalmente intervenne il superiore che in virtù di santa obbedienza comandò a suor Paola di lasciare Stefanina. Ubbidì subito la defunta, e la sua mano ripiombò inanimata sul feretro. - La storia della Beata riferisce che ella fu fedele alla preghiera dell'amica, e si diè ad ogni sorta di penitenze e di opere soddisfattorie, finché una nuova rivelazione le fece conoscere che suor Paola era stata finalmente liberata da quei tormenti ed ammessa alla gloria eterna.
Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, considerando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz'averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell'altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affermare quanto andiamo dicendo.

Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Romana, nella professione perfetta dei tre stati di vergine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz'Ordine di san Domenico, un giorno in cui s'intrattenevano delle cose dell'altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all'altra. Dopo cinque anni Cornelia passò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: - O Cornelia, Cornelia mia, come sono felice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l'altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. - Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: - Vieni con me, e ti farò vedere cose meravigliose. - E postosi in cammino, arrivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. - Leggi - disse Cornelia all'amica. Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quelle foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia - rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronunziate da nostro Signore nell'ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cattiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare in cielo è necessario che le foglie del male siano distrutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poiché guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseverato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro. Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far convinta. - E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le foglie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosamente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: - Fermati, le disse l'amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d'ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. - Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. - O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s'avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? - Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l'abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della mancanza di fervore, bisogna che faccia ora quella penitenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile. -

Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perché visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Agostino aveva tutt'altra idea del rigore dei divini giudizi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell'anima della sua santa madre Monica. A proposito dell'eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, riportiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7).

Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pietà veniva soprannominato l'Angelico, uno de' suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai religiosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr'egli stava passeggiando assorto in meditazione per un viale del giardino, gli apparve il defunto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole: - Caro maestro, ve ne scongiuro, abbiate pietà di me e soccorretemi. - E qual bisogno avete de' miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esattamente soddisfatto all'obbligo che le nostre costituzioni c'impongono, a quest'ora sarei già nella celeste Gerusalemme. - E poiché il religioso allegava per scusa la vita santa ch'egli aveva menato, le preghiere, le penitenze, l'esattezza scrupolosa da lui usata nell'osservanza della regola e tante altre sublimi virtù, il defunto esclamò: - Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L'infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l'uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui? Occorre rendere conto a Dio fino all'ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po' meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! - E ciò detto scomparve. Affrettatosi il buon religioso a celebrare le tre Messe domandate, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell'anima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricompensa delle sue virtù.

Da tutto questo dobbiamo concludere che purtroppo non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve macchia nei suoi Santi. Se si meditassero un po' più spesso queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pregherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.

Fonte: Il Purgatorio nella Rivelazione dei Santi.




NON SCENDO DALLA CROCE Di Fulton j Sheen,vescovo

Ero uscito di casa per saziarmi di sole.Trovai un uomo che

si dibatteva nel dolore della crocifissione.Mi fermai

e gli dissi:"Permetti che ti aiuti"?Lui rispose:

Lasciami dove sono.

Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi

spasimano i miei fratelli.

fino a quando per staccarmi

non si uniranno tutti gli uomini.

Gli dissi"Che vuoi che io faccia?"

Mi rispose:

Và per il mondo e di a coloro

che incontrerai che c è un uomo

che aspetta inchiodato alla croce.